La rilevanza della compassione nella situazione attuale

Leonardo Boff

Attualmente stiamo assistendo a guerre in molti paesi, soprattutto nella Striscia di Gaza, dove è in corso uno dei più grandi genocidi della storia recente, nella guerra contro l’Ucraina dove migliaia di persone, specialmente giovani, sono uccise sotto l’incessante attacco della Russia e così in altri luoghi, in particolare in Africa.

Come non indignarci per il genocidio di migliaia di bambini innocenti che non hanno nulla a che fare con la guerra di Israele contro Hamas, che prende di mira indiscriminatamente l’intera popolazione della Striscia di Gaza, mirando a sterminare, specialmente bambini e giovani che in futuro potrebbero essere contro lo Stato di Israele.

L’etica per essere pienamente umana, deve incorporare la compassione. C’è tanta sofferenza nella storia, troppo sangue versato sul nostro cammino e l’infinita solitudine di milioni e milioni di persone, che si caricano da sole, nel loro cuore, la croce dell’ingiustizia, dell’incomprensione e dell’amarezza. L’ethos compassionevole vuole includere tutti questi nell’ethos planetario, cioè nella Casa Comune, nella quale c’è accoglienza e le lacrime possono essere versate senza vergogna o asciugate amorevolmente. La compassione è l’etica naturale degli operatori sanitari, soprattutto di coloro che hanno intrapreso servizi di cure palliative, ora approvate ed eseguibili attraverso il Sistema Sanitario Unificato (SUS)[1]. Il movimento nazionale Premier Cuidados Paliativos, promosso dal generoso Dr. Samir Salman, sovrintendente dell’Instituto Premier di San Paolo, coinvolge centinaia di medici, infermieri e infermiere che hanno intrapreso la pratica delle cure palliative.

Per Tommaso d’Aquino, “la compassione è la più alta di tutte le virtù perché non solo apre una persona all’altra, ma perché la apre anche ai più deboli e bisognosi di aiuto; in questo senso, costituisce una caratteristica essenziale della Divinità” (S. Theologica II.q.30 a.4 c).

Ma prima, dobbiamo impegnarci in una terapia del linguaggio, perché la compassione, nell’interpretazione comune, ha connotazioni peggiorative. Avere compassione significa provare pietà per un altro perché lo si considera indifeso, privo dell’energia interiore per rialzarsi. Presuppone l’atteggiamento di chi guarda dall’alto in basso, umiliandolo.

Nel cristianesimo primitivo, tuttavia, la com-passione era sinonimo di misericordia, quell’atteggiamento generoso che desidera condividere la propria passione con l’altro e non lasciarlo solo nel suo dolore. Questa non è fare “carità”, criticata dal poeta e cantautore argentino Atauhalpa Yupanqui: “io disprezzo la ‘carità’ per la vergogna che comporta. Sono come il leone di montagna che vive e muore in solitudine”. Diversamente gli esseri umani sono, in generale, accompagnati nel tramonto della loro vita da persone care che li circondano di cure palliative.

Nel buddismo, la compassione è considerata la virtù personale di Buddha. Pertanto, è centrale e si collega alla domanda che ha dato origine al buddismo come percorso spirituale: “qual è il modo migliore per liberarci dalla sofferenza?”. La risposta di Buddha fu: “attraverso la com-passione, attraverso l’infinita com-passione”.

Il Dalai Lama aggiorna questa risposta ancestrale in questo modo: “aiuta gli altri ogni volta che puoi e, se non puoi, non far loro mai del male e abbi sempre compassione”.

Due virtù realizzano la compassione: il distacco e la cura. Attraverso il distacco, rinunciamo a qualsiasi senso di superiorità verso gli altri e li rispettiamo così come sono. Attraverso la cura, ci avviciniamo a loro e ci facciamo carico del loro benessere, soccorrendoli nella sofferenza.

La compassione è forse il maggiore contributo etico e spirituale che l’Oriente abbia dato alla cultura mondiale. Ciò che rende penosa la sofferenza non è tanto la sofferenza in sé. Ma la solitudine nella sofferenza. Il buddismo, e anche il cristianesimo, invitano a stabilire una comunione nella sofferenza affinché nessuno sia lasciato solo e indifeso nel proprio dolore.

La grande vergogna è constatare che i paesi europei, con radici cristiane, creatori dei diritti umani e dell’idea di democrazia, abbiano sostenuto la guerra genocida di Netanyahu contro Hamas e il popolo palestinese.

Come l’amore e la cura, la compassione ha una portata illimitata di realizzazione. Non si restringe appena agli esseri umani. Ma a tutti gli esseri viventi e al cosmo. L’ideale buddista e francescano di compassione ci insegna come relazionarci adeguatamente con la comunità della vita: innanzitutto, rispettare ogni essere nella sua alterità, poi stabilire un legame affettivo con esso, prendercene cura e, soprattutto, rigenerare quegli esseri che soffrono o sono minacciati di estinzione. Solo allora potremo beneficiare dei loro doni, nella giusta misura e con responsabilità, in funzione ciò di cui abbiamo bisogno per vivere in modo sufficiente e dignitoso.

Di fronte a tante sofferenze nell’umanità e all’aggressione sistematica alla Madre Terra, la compassione è un imperativo umanistico ed etico.

Leonardo Boff, insieme a Werner Müller, ha scritto “O princípio de compaixão e de cuidado, Vozes 2000; “A justa medida: como equilibrar o planeta Terra, Vozes 2023.

(Traduzione dal portoghese di Gianni Alioti)


[1] È il sistema esistente in Brasile, analogo per molti aspetti al Servizio Sanitario Nazionale esistente in Italia.

Das in Gaza verweigerte Mindestmaß an Kommensalität

Leonardo Boff

Wir alle sind Zeugen des Verbrechens gegen die Menschlichkeit geworden, das Netanjahus Israel begeht, indem es Millionen Palästinensern im Gazastreifen Nahrung und Wasser verweigert: Kinder sterben, Frauen verhungern auf der Straße. Schlimmer noch: 1.200 Menschen wurden getötet, als sie versuchten, mit ihren eigenen Booten an Lebensmittel zu gelangen. Hunderte von ihnen wurden wahllos erschossen, als ob sie auf ein Ziel schossen, während sie sich zusammendrängten, um etwas zu essen zu bekommen.

Dennoch möchten wir, getreu den utopischen Traditionen der Menschheit, über Kommensalität sprechen, eine Kommensalität, die den Menschen in Gaza völlig verwehrt bleibt. Kommensalität bedeutet, gemeinsam zu essen und zu trinken, denn gerade dabei feiern die Menschen die Freude am Leben und Zusammenleben am meisten.

Wir leben jedoch in einer geplagten Welt, in der mehr als 700 Millionen Menschen Hunger leiden und mehr als eine Milliarde Menschen unter Nahrungsmittelknappheit leiden, eineinhalb Milliarden Menschen keinen ausreichenden Zugang zu Trinkwasser haben und zwei Milliarden Menschen kein aufbereitetes Wasser.

Kommensalität ist so zentral, dass sie mit dem Wesen des Menschen als Menschen eng verbunden ist. Vor sieben Millionen Jahren begann die langsame und fortschreitende Trennung zwischen höheren Affen und Menschen, ausgehend von einem gemeinsamen Vorfahren. Die Besonderheit des Menschen entstand auf mysteriöse Weise und ist historisch nur schwer zu rekonstruieren. Doch Ethnobiologen und Archäologen weisen uns auf eine einzigartige Tatsache hin. Als unsere menschenähnlichen Vorfahren auszogen, um Früchte, Samen, Wild und Fisch zu sammeln, aßen sie nicht einzeln, was sie auftreiben konnten. Sie nahmen die Nahrung und brachten sie zur Gruppe. Und dann praktizierten sie Kommensalität: Sie verteilten sie unter sich und aßen in Gruppen und gemeinschaftlich (E. Morin, L’identité humaine, Paris 2001).

Daher war es die Kommensalität, die Solidarität und Kooperation zwischen Individuen voraussetzt, die den ersten Sprung vom Tierischen zum Menschlichen ermöglichte. Es war zwar nur ein erster, aber ein entscheidender Schritt, denn er legte die grundlegenden Merkmale der menschlichen Spezies fest, die sie von anderen komplexen Arten unterscheidet (zwischen Schimpansen und uns besteht nur ein genetischer Unterschied von 1,6 %): Kommensalität, Solidarität und Kooperation. Doch dieser kleine Unterschied macht den entscheidenden Unterschied.

Was gestern galt, gilt auch heute noch. Wir müssen dringend diese Gemeinschaftlichkeit zurückgewinnen, die uns einst zu Menschen machte und die uns heute wieder zu Menschen machen muss. Und wenn sie nicht vorhanden ist, werden wir unmenschlich, grausam und gnadenlos. Ist das nicht bedauerlicherweise die Situation der Menschheit heute?

Über die Kommensalität hinaus wird unser Menschsein durch die grammatische Sprache vervollständigt. Der Mensch ist das einzige Wesen mit einer „doppelt artikulierten“ Sprache, die aus Wörtern und Bedeutungen besteht, die beide grammatischen Regeln unterliegen. Wir grunzen nicht. Wir sprechen. Sprache ermöglicht es uns, die Welt und unser eigenes inneres Universum, unsere Vorstellungskraft und unser Denken zu ordnen. Sprache ist eines der sozialsten Elemente überhaupt, denn ihre Natur ist sozial und ihre Entstehung setzte menschliche Sozialität voraus (vgl. H. Maturana und F. Varela, Der Baum der Erkenntnis, Campinas, 1995).

Ein weiterer Aspekt, der mit der Kommensalität verbunden ist, ist das Kochen, also die Zubereitung von Speisen. Claude Lévi-Strauss, ein bedeutender Anthropologe, der viele Jahre in Brasilien arbeitete, schrieb zu Recht: „Die Beherrschung der Küche stellt eine wahrhaft universelle Form menschlicher Aktivität dar. So wie es keine Gesellschaft ohne Sprache gibt, so gibt es auch keine Gesellschaft, die nicht einen Teil ihrer Speisen kocht“ (vgl. D. Pingaud et al., La Scène primitive, Paris 1960: 40).

Vor 500.000 Jahren lernten die Menschen, Feuer zu machen. Und dank ihrer Kreativität lernten sie, es zu domestizieren und damit Essen zuzubereiten. Das „Kulinarische Feuer“ unterscheidet den Menschen von anderen komplexen Säugetieren. Der Übergang vom Rohen zum Gekochten entspricht dem Übergang vom Tier zum zivilisierten Menschen. Mit dem Feuer kam die Küche, die in jeder Kultur und Region einzigartig ist.

Jede Nation hat charakteristische Gerichte, die Teil ihrer historischen Identität sind, wie zum Beispiel brasilianische Feijoada, mexikanische Tacos, amerikanische Hamburger, italienische Pizza und andere. Es geht nicht nur ums Kochen, sondern auch darum, Essen zu würzen. Die verwendeten Gewürze und die charakteristischen Aromen unterscheiden eine Küche von der anderen und auch von Kulturen. Unterschiedliche Küchen schaffen kulturelle Gewohnheiten, die oft mit bestimmten Feiertagen wie Weihnachten, Ostern, Silvester, Thanksgiving, Johannistag und ähnlichen Festen verbunden sind.

Mit all diesen komplexen Phänomenen ist die Kommensalität verknüpft. Sie beinhaltet auch eine symbolische Dimension. Essen ist nie nur eine Geste der gemeinsamen Nahrungsaufnahme, um den Hunger zu stillen und zu überleben. Es ist ein gemeinschaftliches Ritual, umgeben von Symbolen und Bedeutungen, die die Gruppenzugehörigkeit stärken und den Sprung ins spezifisch Menschliche festigen.

Mit anderen Worten: Ernährung ist nie ein individueller biologischer Mechanismus. Kommensales Konsumieren bedeutet, mit anderen zu kommunizieren, die mit mir essen. Es ist eine Kommunikation mit den in der Nahrung verborgenen Energien, mit ihrem Geschmack, ihrem Geruch, ihrer Schönheit und ihrer Dichte. Es ist eine Kommunikation mit den kosmischen Energien, die der Nahrung zugrunde liegen, insbesondere mit der Fruchtbarkeit der Erde, der Sonnenstrahlung, der Wälder, des Wassers, des Regens und des Windes. Besonders mit den Arbeitern, die das Essen auf unsere Tische bringen.

Aufgrund dieser numinosen Natur des Essens/Konsumierens/Kommunizierens ist jede Kommensalität in gewisser Weise sakramental. Sie ist mit wohltuenden Energien aufgeladen, symbolisiert durch Riten und visuelle Darstellungen. Wir essen auch mit unseren Augen. Der Moment des Essens ist der am meisten erwartete des Tages und der Nacht. Es besteht ein instinktives und reflexartiges Bewusstsein, dass es ohne Essen kein Leben, kein Überleben und keine Freude gibt.

All dies wird den Bewohnern des Gazastreifens und Millionen hungernder Menschen auf der ganzen Welt vorenthalten. Unsere Herausforderung ist die gleiche wie die der Lula-Regierung: Null Hunger.

Leonardo Boff ist ökotheologe  und Schriftsteller mit mehr als hunderte Bücher veröfentllicht.

Übersetzt von Bettina Gold-Hartnack

La comensalidad mínima negada en Gaza

Leonardo Boff*

Todos estamos presenciando el crimen contra la humanidad que comete el Israel de Netanyahu, negando agua y comida a los millones de palestinos de la Franja de Gaza: niños muriendo, mujeres desmayándose de hambre en las calles. Peor aún, 1200 personas han sido asesinadas mientras intentaban con sus cuencos recibir algún alimento. Entre estas, cientos fueron abatidas al azar, como si se tratase de un tiro al blanco, cuando se aglomeraban para recibir un poco de comida.

         Aún así queremos hablar de la comensalidad, fieles a las tradiciones utópicas de la humanidad, comensalidad que está siendo negada totalmente a la población de Gaza. Comensalidad es comer y beber juntos, pues es en este acto cuando los seres humanos celebramos más la alegría de vivir y convivir.

         Sin embargo vivimos en una humanidad flagelada, con más de 700 millones de hambrientos y más de mil millones con insuficiencia  alimentaria, con mil quinientos millones de personas sin agua potable suficiente y dos mil millones sin aguas tratadas.

         La comensalidad es tan central que está ligada a la esencia misma del ser humano en cuanto humano. Hace siete millones de años comenzó la separación lenta y progresiva entre los simios superiores y los humanos a partir de un ancestro común. La especificidad del ser humano surgió de forma misteriosa y de difícil reconstrucción histórica. Pero los etnobiólogos y arqueólogos nos señalan un hecho singular. Cuando nuestros antepasados antropoides salían a recoger frutos, semillas, caza y peces, no comían individualmente lo que conseguían reunir. Tomaban los alimentos y los llevaban al grupo. Y ahí practicaban la comensalidad: los distribuían entre ellos y comían grupal y comunitariamente (E.Morin, L’identité humaine, Paris 2001).

Por tanto fue la comensalidad, que supone la solidaridad y la cooperación de unos con otros, lo que permitió el primer salto de la animalidad hacia la humanidad. Fue solo un primerísimo paso, pero decisivo porque a él le cupo inaugurar la característica básica de la especie humana, diferente de otras especies complejas (entre los chimpancés y nosotros hay solo 1,6% de diferencia genética): la comensalidad, y con ella la solidaridad y la cooperación. Pero esta pequeña diferencia hace toda la diferencia.

Lo que fue verdadero ayer sigue siendo verdadero hoy. Urge rescatar esta comensalidad que antaño nos hizo humanos y que debe hoy hacernos humanos de nuevo. Si no está presente, nos hacemos inhumanos, crueles y sin piedad. ¿No es esta, lamentablemente, la situación de la humanidad actual?

Además de la comensalidad, nuestra humanidad se completa a través del lenguaje gramaticalizado. El ser humano es el único ser de lenguaje “con doble articulación” de las palabras y de los sentidos, ambos regidos por reglas gramaticales. No damos gruñidos. Hablamos. El lenguaje nos posibilita organizar el mundo y nuestro propio universo interior, el imaginario y el pensamiento. El lenguaje es uno de los elementos más sociales que existe, pues por su naturaleza es social y para surgir presupone la sociabilidad humana (cf. H. Maturana y F. Varela, A árvore do conhecimento, Campinas1995).

Otro dato ligado a la comensalidad es el arte culinario, es decir, la preparación de los alimentos. Bien escribió Claude Lévi-Strauss, eminente antropólogo que trabajó muchos años en Brasil: «el dominio de la cocina es una forma de actividad humana verdaderamente universal. Así como no existe sociedad sin lenguaje, tampoco existe ninguna sociedad que no cocine algunos de sus alimentos» (Cf.D. Pingaud y otros, La Scène primitive, Paris 1960: 40).

Hace 500 mil años el ser humano aprendió a hacer fuego. Y con su creatividad aprendió a domesticarlo y con ello a cocinar los alimentos. El “fuego culinario” es lo que diferencia al ser humano de otros mamíferos complejos. El paso de lo crudo a lo cocido equivale pasar de lo animal al ser humano civilizado. Con el fuego surgió la cocina propia de cada cultura y de cada región.

Cada pueblo posee algunos alimentos característicos que forman parte de su identidad histórica, como la feijoada de Brasil, los tacos de Méjico, la hamburguesa de los norteamericanos, la pizza de los italianos y muchos otros. No se trata solo de cocinar los alimentos sino de darles sabor. En los condimentos utilizados y en los sabores diferenciados se distinguen una culinaria y una cultura de otras. Las distintas culinarias crean hábitos culturales, que suelen estar vinculados a ciertas fiestas como la Navidad, la Pascua, el Año Nuevo, las fiestas patronales, San Juan u otras semejantes.

 La comensalidad está ligada a todos estos fenómenos tan complejos. La comensalidad incluye también una dimensión simbólica. Comer nunca es solo un gesto de nutrición grupal para saciar el hambre y sobrevivir. Es un rito comunitario, rodeado de símbolos y de significados que refuerzan la pertenencia del grupo y consolida el salto hacia lo específicamente humano.

En otras palabras, nutrirse nunca es una mecánica biológica individual. Consumir comensalmente es comulgar con los otros que comen conmigo. Es entrar en comunión con las energías escondidas en los alimentos, con su sabor, su olor, su belleza y su densidad. Es  comulgar con las energías cósmicas que subyacen en los alimentos,  la fertilidad de la tierra, la irradiación solar, los bosques, las aguas, la lluvia, los vientos. Y especialmente con las personas que hacen posible que los alimentos lleguen a nuestras mesas.

Gracias a este carácter numinoso de comer/consumir/comulgar, toda comensalidad es en cierta forma sacramental. Viene cargada de buenas energías, simbolizadas por ritos y representaciones plásticas. Se come también con los ojos. El momento de comer es el más esperado del día y de la noche. Tenemos la conciencia instintiva y refleja de que sin comer no hay vida ni supervivencia ni alegría.

Todo esto les está siendo negado a los habitantes de Gaza y a millones de personas hambrientas en todo el mundo. Nuestro desafío  es el del Gobierno de Lula: hambre cero.

*Leonardo Boff ha escrito Comer y beber juntos y vivir en paz, Sal Terrae 2007.

Traducción de MªJosé Gavito Milano

  A comensalidade negada em Gaza

Leonardo Boff

         Todos assistimos ao crime contra a humanidade perpetrado pelo Israel de Netanyhau,negando água e comida aos milhões de palestinos da Faixa de Gaza: crianças morrendo, mulheres desmaiando de fome nas ruas. Pior ainda, 1200 pessoas foram mortas enquanto tentavam com suas vasilhas receber algum alimento.Dentre estas, centenas foram abatidas a esmo, como se fosse tiro ao alvo, enquanto se aglomeravam para receber um pouco de comida.

Mesmo assim queremos falar da comensalidade, fiéis às tradições utópicas da humanidade, comensalidade negada totalmente à população de Gaza.   Comensalidade é comer e beber juntos, pois é neste ato que  os seres humanos mais celebram a alegria de viver e conviver.

         No entanto vivemos numa humanidade flagelada, com mais de 700 milhões de famintos e mais de um bilhão com insuficiência alimentar, com um bilhão e meio  de pessoas sem água potável suficiente e dois bilhões sem águas tratadas.

          A comensalidade é tão central que está ligada à própria essência do ser humano enquanto humano. Há sete milhões de anos começou a separação lenta e progressiva entre os símios superiores e os humanos, a partir de um ancestral comum. A especificidade do ser humano surgiu de forma misteriosa e de difícil reconstituição histórica. Mas os etnobiólogos e arqueólogos nos acenam para um fato singular. Quando nossos antepassados antropóides saiam a coletar frutos, sementes, caças e peixes não comiam individualmente o que conseguiam reunir. Tomavam os alimentos e os levavam ao grupo. E ai praticavam a comensalidade: distribuíam-nos entre si  e comiam grupal e comunitariamente (E.Morin,L’identité humaine, Paris 2001).

Portanto, foi a comensalidade que supõe a solidariedade e a cooperação de uns para com os outros que permitiu o primeiro salto da animalidade em direção da humanidade. Foi só um primeiríssimo passo, mas decisivo porque coube a ele inaugurar a característica básica da espécie humana, diferente de outras complexas (entre os chimpanzés e nós há apenas 1,6% de diferença genética): a comensalidade, a solidariedade e a cooperação. Mas essa pequena diferença faz toda a diferença.

O que foi verdadeiro ontem continua verdadeiro hoje. Urge resgatar esta  comensalidade que outrora nos fez humanos e que deve hoje a fazer-nos sempre de novo humanos. E se não estiver presente, nos fazemos desumanos, cruéis e sem piedade. Não é esta, lamentavelmente, a situação da humanidade atual?

Além da comensalidade, a nossa humanidade se completa pela linguagem gramaticada. O ser humano é o único ser de linguagem “em dupla articulação”, das palavras e dos sentidos, ambos regidos por regras gramaticais. Não damos grunhidos. Falamos. A linguagem lhe possibilita organizar o mundo e seu próprio universo interior, o imaginário e o pensamento. A linguagem é um dos elementos mais sociais que existe, pois, sua natureza é social e para surgir pressupôs a socialidade humana(cf. H. Maturana e F. Varela, A árvore do conhecimento, Campinas1995).

Outro dado ligado à comensalidade é a culinária, vale dizer, a preparação dos alimentos. Bem escreveu Claude Lévi-Strauss, eminente antropólogo que trabalhou muitos anos no Brasil: ”o domínio da cozinha constitui uma forma de atividade humana verdadeiramente universal. Assim como não existe sociedade sem linguagem, assim também não há nenhuma sociedade que não cozinhe alguns de seus alimentos”(Cf.D. Pingaud e outros,La Scène primitive,Paris 1960: 40).

Há 500 mil anos o ser humano aprendeu a fazer fogo. E aprendeu com sua criatividade a domesticá-lo e com isso a cozinhar os alimentos. O “fogo culinário” é o que diferencia o ser humano de outros mamíferos complexos. A passagem do cru ao cozido equivale passar do animal ao ser humano civilizado. Com o fogo surgiu a culinária,  própria de cada cultura e de cada região.

Cada povo possui alguns alimentos característicos que entram na constituição de sua identidade histórica, como a feijoada do Brasil, os tacos do México, o hambúrguer dos norte-americanos, a pizza dos italianos e outros. Não se trata nunca de apenas  cozinhar os alimentos mas de dar-lhes sabor. Nos condimentos utilizados e nos sabores diferenciados se distinguem uma culinária da outra e as culturas. As várias culinárias criam hábitos culturais, não raro vinculados a certas festas como o Natal, a Páscoa, começo do ano, a festa de ação de graças, de São João ou outras semelhantes.

 A comensalidade está ligada a todos estes fenômenos tão complexos. A comensalidade envolve também uma dimensão simbólica. Comer nunca é apenas um gesto de nutrição grupal para matar a fome e sobreviver. É um rito comunitário, cercado de símbolos e de significados que reforçam a pertença do grupo e consolida o salto para dentro do especificamente humano.

Em outras palavras, nutrir-se nunca é uma mecânica biológica individual. Consumir comensalmente é comungar com os outros que comigo comem. É entrar em comunhão com as energias escondidas nos alimentos, com seu sabor, seu cheiro, sua beleza e sua densidade. É comungar com as energias cósmicas que sub jazem aos alimentos, especialmente a fertilidade da terra, a irradiação solar, as florestas, as águas, a chuva e  os ventos. Especialmente aos trabalhadores que trouxeram os alimentos para nossas mesas.

Em razão deste caráter numinoso do comer/consumir/comungar, toda comensalidade é de certa forma sacramental. Ela vem carregada de energias benfazejas, simbolizadas por ritos e representações plásticas.Come-se também com os olhos. O momento do comer é o mais esperado do dia e da noite. Há a consciência instintiva e reflexa de que sem o comer não há vida nem sobrevida nem alegria.

Tudo isso está sendo negado aos habitantes de Gaza e a milhões de pessoas famintas do mundo inteiro.O nosso desfio é aquele do Governo Lula: fome zero.

Leonardo Boff escreveu: Comer e beber juntos e viver em paz, Vozes 2006.