L’esplosione dei cavalli dell’Apocalisse: la guerra Hamas-Israele

Leonardo Boff

In questi giorni di ottobre abbiamo assistito, con stupore, alla guerra scoppiata tra il gruppo terroristico Hamas, originario della Palestina, e lo Stato di Israele, attaccato di sorpresa la forte ritorsione di quest’ultimo. Considerata la violenza utilizzata, che ha colpito centinaia di persone da entrambe le parti, soprattutto la popolazione innocente, sembrerebbe che sia esploso il cavallo dell’Apocalisse, quello della guerra distruttiva (Ap 9,13-19).

I razzi, i missili, i droni, i carri armati, i bombardieri, i caccia, le bombe intelligenti e gli stessi soldati, trasformati in piccole macchine per uccidere, sembrano figure uscite direttamente dalle pagine del libro dell’Apocalisse.

Tutti noi che proveniamo da una visione pacifista del mondo, dall’ecologia dell’integrazione armonica delle opposizioni, del processo evolutivo, concepito come aperto a forme di relazione sempre più complesse, elevate e ordinate e anche dai moniti di Papa Francesco sull’allarme ecologico, ci chiediamo angosciati: come è possibile che siamo arrivati a tali livelli di distruzione? Come comprendere i fenomeni che accompagnano lo scenario di questa guerra, come l’invasione di Israele da parte dei terroristi di Hamas, l’uccisione indiscriminata di civili, il rapimento di persone, bambini, anziani e soldati, le fake news, la distorsione pianificata dei fatti e la manipolazione delle credenze religiose? È importante non dimenticare i molti anni di dura dominazione israeliana sulla regione di Gaza e sui palestinesi in generale. Ciò ha provocato risentimento e molto odio, che sono alla base dei conflitti in corso nella regione. Ma tutto ciò non nasconde la domanda: cosa siamo noi, esseri umani, capaci di tanta barbarie?

E le guerre si sono sempre più trasformate in guerre totali, mietendo più vittime tra le popolazioni civili che tra i combattenti. Max Born, premio Nobel per la fisica (1954) denunciò la prevalenza dell’uccisione di civili nella guerra moderna. Nella prima guerra mondiale morì solo il 5% dei civili, nella seconda guerra mondiale il 50%, nelle guerre di Corea e Vietnam l’85%. E i dati recenti mostrano che contro l’Iraq e la ex-Jugoslavia, in Ucraina il 98% delle vittime sono civili. Nell’attuale guerra tra il gruppo di Hamas e Israele i dati dovrebbero essere di proporzioni simili, come si evince dalle parole minacciose del premier israeliano Binyamin Netanyahu.

Secondo lo storico Alfred Weber, fratello di Max Weber, dei 3.400 anni di storia umana che possiamo datare con i documenti, 3.166 sono stati di guerra. I restanti 234 non sono stati certamente di pace, ma di tregua e di preparazione per un’altra guerra.

Di fronte a questo dramma spaventoso si pone una domanda radicale: qual è il senso dell’essere, della vita e della storia? Come illuminare questo anti-fenomeno?

Non abbiamo altra categoria per illuminare questo enigma se non quella di riconoscere: è l’esplosione e l’implosione della demenza, inscritta nell’essere umano, cosi come lo conosciamo. Siamo anche esseri di demenza, di eccesso, di volontà di dominio, di soffocamento e omicidio. Ciò è stato ampiamente illustrato nelle guerre del XX secolo che hanno provocato il massacro di 200 milioni di persone e negli atti spettacolari perpetrati dal terrorismo e dal fondamentalismo islamico come la distruzione delle Torri Gemelli negli USA e attualmente dal sorprendente e terribile attacco del gruppo terroristico Hamas (in parte rifiutato dai palestinesi) allo Stato di Israele.

La cosa enigmatica è che questa demenza si accompagna sempre alla sapienza. La sapienza è la nostra capacità di amare, di prenderci cura, di estasiarci e aprirci all’Infinito. Siamo, allo stesso tempo, tutti senza eccezione, sapiens e demens, cioè esseri umani sapienti e dementi.

Il paradigma dominante della nostra cultura, basato sulla volontà di potere e di dominio, ha creato le condizioni affinché la nostra demenza collettiva si manifestasse con forza e predominasse. Questo spirito di guerra è presente nell’economia di mercato finanziarizzata, nella guerra del grano, del mais, delle auto, dei computer, dei telefoni cellulari, dei gruppi religiosi e persino dei centri di ricerca.

D’altra parte, la nostra dimensione sapiente non ha mai smesso di apparire in nessun momento. Le piazze di tutto il mondo sono piene di moltitudini che chiedono la pace e mai più la guerra, ogni volta che si solleva la minaccia di un conflitto, come modo per risolvere i problemi. Leader politici, intellettuali e religiosi, hanno alzato la loro voce e hanno alzato il lato luminoso e pacifico degli esseri umani, non lasciandoci nella disperazione. Gesù, San Francesco d’Assisi, M. Gandhi, Luther King Jr, Dom Helder Câmara, tra gli altri, si sono trasformati in riferimenti dell’antiviolenza e paladini della pace.

Quale soluzione troveremo per questo problema con dimensioni metafisiche? Ad oggi non lo sappiamo esattamente.

La soluzione più realistica e saggia sembra essere quella espressa nella preghiera di Pace di San Francesco d’Assisi, il fratello universale, della natura, degli animali, delle montagne e delle stelle. In questa preghiera, ampiamente diffusa e diventata credo comune dal macro-ecumenismo, cioè dall’ecumenismo tra le religioni e le chiese, troviamo una chiave illuminante.

I termini della preghiera rendono chiara la consapevolezza della natura contraddittoria della condizione umana, fatta di amore e odio, di saggezza e di follia. Partiamo da questa contraddizione, ma affermiamo fiduciosi il polo positivo con la certezza che limiterà e integrerà il polo negativo.

La lezione che sta alla base della preghiera di San Francesco è questa: la demenza non si cura se non rafforzando la sapienza. Perciò, secondo le sue parole: “dove c’è odio, che io porti l’amore; dove c’è discordia, che io porti l’unità; dove c’è disperazione, che io porti la speranza; dove c’è oscurità, che io porti la luce“. Ed è più importante «amare che essere amati, comprendere più che essere compresi, perdonare più che essere perdonati, perché è donando che riceviamo ed è morendo che viviamo per la vita eterna».

In questa saggezza dei semplici s’incontra, chissà, il segreto per superare la volontà di coloro che vogliono la violenza e la guerra come la modalità per risolvere i conflitti o affermare gli interessi degli uni contro gli altri, come sta accadendo nell’attuale guerra tra Hamas e Israele.

La via verso la pace, insegnava Gandhi, è la pace stessa. Solo mezzi pacifici producono la pace. La pace è, allo stesso tempo, una meta e un metodo, un fine e un mezzo. Spero che questo spirito finisca per trionfare sulla violenza brutale nell’attuale guerra, profondamente asimmetrica tra il piccolo e violento gruppo di Hamas e l’altrettanto piccolo ma potente Stato di Israele.

Leonardo Boff ha scritto: ‘A busca da justa medida (I e II)’, Vozes  2023; A oração de São Francisco:uma mensagem de paz para o mundo atual’, Vozes 2014; ‘Fundamentalismo, terrorismo, religião e paz, Vozes 2009.

(traduzione dal portoghese di Gianni Alioti)

“Nem loucos, nem mortos”: vivos e resistentes:testemunhos de ex-presos políticos argentinos

Finalmente sai em português “Nem loucos, nem mortos,o um testemunho coletivo e anônimo de ex-presos políticos de um dos presídios de segurança máxima da Argentina durante a última ditadura cívico-militar. Ele guarda a memória de todas estas pessoas se opuseram à ditadura na Argentina. Este testemunho é válido para a situação brasileira. Daí a importância de sua publicação no Brasil com um comovente prólogo de João Paulo Rodrigues da Coordenação Nacional do MST.

Publicamos um artigo do conhecido jornalista argentino,vivendo na Suiça e comprometido com a defesa dos direitos humanos no mundo: Sergio Ferrari

Vale ler o que escreve e denuncia pois a tragédia continua a nível mundial.

O livro é lançado pela Editora Expressão Popular-SP e seu lançamento é previsto para o dia 9 de outubro na Livraria Tapera-Taperá,Av.São Luis,187. 2.andar Loja 29 São Paulo.  LBoff

Sergio Ferrari

Ativar a memória coletiva como antídoto contra a repetição das brutalidades que a América Latina viveu em tempos de ditaduras. Essa é a premissa de um grupo de ex-presos políticos do Presídio de Coronda, em Santa Fé, na Argentina, que, no próximo 9 de outubro, apresenta Nem loucos, nem mortos, livro testemunhal escrito por mais de 70 deles, agora publicado em português pela Editora Expressão Popular de São Paulo.

E será nessa cidade brasileira que essa obra coletiva e anônima de 350 páginas, com muitas fotos e desenhos em cores, terá seu batismo de fogo em solo latino-americano, apenas 20 anos após ter sido apresentada na Argentina a primeira edição em espanhol.

Em 2003, a Associação El Periscopio, que reúne um importante grupo de ex-prisioneiros de Coronda –por onde passaram 1.153 detidos pela ditadura- publicou Del otro lado de la mirilla. Olvidos y memorias de ex-presos políticos de Coronda 1974-1979. Essa obra, agora traduzida e adaptada para o português, já teve sua terceira edição em espanhol, com mais de 11 mil exemplares vendidos, e também circula em diversos idiomas. Em 2020, foi publicada em francês com o título Ni fous, ni morts(Editorial de l’Aire, Vevey, Suíça) e, em 2022, em italiano, pela prestigiada editora romana Albatros Il Filo, sob o nome Grand Hotel Coronda.

A paixão da memória

Desde a publicação da primeira edição, em 2003, Del otro lado de la mirilla repercutiu significativamente tanto na Argentina quanto na Europa. No entanto, sua distribuição na América Latina e, especificamente, a versão em português permanecia uma questão pendente.

Nem loucos, nem mortos é um testemunho coletivo e anônimo de ex-presos políticos de um dos presídios de segurança máxima da Argentina durante a última ditadura cívico-militar. É, talvez, o primeiro livro do gênero publicado na América Latina, resultado do trabalho de um grande grupo de coautores reunidos em El Periscopio (https://elperiscopio.org.ar/).

Em 2006, inspirou a criação teatral Coronda en Acción, (http://www.youtube.com/watch?v=mkK12e2yaFw) e durante a pandemia de Covid-19 alimentou conceitualmente o projeto Corondaes, uma realização experimental audiovisual onde cada quadrícula digital (via zoom) representava uma cela desse presídio argentino (https://www.youtube.com/watch?v=G18LTkssir0). Também inspirou a realização do curta-metragem Retorno a Coronda (2020), que narra a visita realizada por um grupo de ex-prisioneiros a esse centro penitenciário, em outubro de 2019, e que é projetada como introdução por ocasião da apresentação do livro (https://vimeo.com/733955181).

Para El Periscopio, o trabalho de Memória, Verdade e Justiça é a tarefa central nessas duas décadas de existência. Dessa forma, converge com as Mães e com as Avós da Praça de Maio, com outras associações de ex-prisioneira-os e com tantos outros atores sociais que lutam contra o esquecimento e contra todas as formas de obscurantismo histórico. É o que diz Hugo Borgert, membro da Associação, que viaja de Buenos Aires a São Paulo para a primeira apresentação da edição em português. “Nossa militância pela memória é uma espécie de paixão e quase uma obsessão”, explica Borgert, que reivindica a importância da memória coletiva em momentos em que alguns partidos e candidatos presidenciais negacionistas, como Javier Milei en Argentina, tentam minimizar a brutalidade dos crimes da última ditadura cívico-militar.

Para Alfredo Vivono, ex-preso político que também participará na apresentação de Nem loucos, nem mortos, “É uma honra enorme publicar o livro em português, no Brasil, junto com a Editora Expressão Popular, que pertence aos movimentos sociais brasileiros, que nasce das entranhas do Movimento Sem Terra (MST), e que dá uma contribuição cultural e pedagógica gigante para fortalecer os atores populares”. E continua: “Estamos honrados por compartilharmos a primeira apresentação com Frei Betto, figura de referência para a militância em todo o continente, e com João Paulo Rodrigues, da direção do Movimento Sem Terra que nos deu um presente inestimável ao prefaciar a edição brasileira”.

Borgert e Vivono concordam em que as resistências antiditatoriais dos anos 70 e 80 convergem hoje com os mais importantes movimentos sociais latino-americanos, como o MST do Brasil, com suas utopias e suas lutas atuais. “Somos parte de um todo latino-americano que continua aspirando a outro continente possível e necessário, com justiça, equidade e soberania. Um continente que se aproprie da igualdade e da diversidade de gêneros, que respeite os migrantes independentemente da sua proveniência e que abrace a luta contra a crise climática e pela sobrevivência da Terra”, reflete Alfredo Vivono.

Um prólogo emocionado, a voz brasileira

Na prisão de Coronda, centenas de ativistas que resistiram ao autoritarismo e à violência da ditadura argentina nos anos setenta estiveram presos sob o terror e a tortura permanentes. “Só sairão daqui loucos ou mortos!”. Essa era a sentença aterrorizante que os torturadores impunham com total crueldade, lembra João Paulo Rodrigues, membro da Coordenação Nacional do MST, no comovente prólogo da edição brasileira. E acrescenta que, apesar dessas torturas diárias, o grupo não desistiu, manteve-se vivo, resistiu e consolidou depois a Associação “El Periscopio” como instrumento de luta. Não se limitaram a escrever a experiência da resistência, mas sempre consideraram a produção coletiva do livro como uma ferramenta de luta. Inclusive, conseguiram acusar perante os tribunais comuns os dois diretores do Presídio de Coronda, que eram comandantes da Gendarmaria. Em maio de 2018, ambos foram condenados a 22 e 17 anos de prisão pela política destrutiva que aplicaram naquele presídio. Para os juízes, o regime diário aplicado em Coronda, que buscava a destruição física, mental e ideológica dos presos, constituiu um crime contra a humanidade.

Em sua profunda reflexão, João Paulo Rodrigues enfatiza que Nem loucos, nem mortos “abre o horizonte de análise para uma perspectiva latino-americana, reforça um processo coletivo de resistência e destaca um exemplo de memória que resultou em um movimento de luta, chegando inclusive à acusação e condenação de agentes torturadores do Estado”. Isso é ainda mais importante, acrescenta, no contexto brasileiro, já que aqui centenas de crimes cometidos por agentes do Estado durante a ditadura militar (1964-1985) permanecem impunes. O Brasil levou quase três décadas desde o início do processo de redemocratização para criar uma Comissão da Verdade (2012-2014). “No entanto, seu relatório, apesar de ser um documento importante, não levou à punição dos funcionários públicos que cometeram graves crimes contra os direitos humanos”.

João Paulo Rodrigues ressalta que esse livro aposta na importância da memória coletiva para os processos de organização e mobilização popular. E quanto à sua promoção e divulgação, “espero que sirva de ferramenta para amplos processos de educação popular na rica e diversificada realidade dos movimentos sociais no Brasil”. E o dirigente nacional do MST conclui afirmando que “o objetivo do livro é manter viva a memória de um passado que corre o risco constante de ser silenciado pelo esquecimento. Mas a memória não se restringe ao passado. Tem raízes profundas na construção de um hoje e de um amanhã diferentes das experiências de tortura, de dominação e de exploração”.

Um livro que nos homenageia

“Para nós é muito importante construir laços de solidariedade e de internacionalismo e é por isso que, como Editora, somos muito gratos pela confiança de El Periscopio em publicar seu livro conosco”, diz Miguel Yoshida, diretor da Expressão Popular.

Yoshida ressalta o valor do processo vivido na gestão do livro: “coincidindo com o caráter coletivo de Nem loucos, nem mortos, também trabalhamos coletivamente, juntos, há vários meses, de São Paulo e por zoom, com um grande grupo de membros do El Periscopio, da Argentina, do Brasil, da Alemanha, da França e da Suíça. Foi uma experiência muito original e enriquecedora”.

Nem loucos, nem mortos, no dia 9 de outubro nasce na atividade pública na livraria Tapera Taperá. No dia seguinte, também em São Paulo, será apresentado na Escola Nacional Florestan Fernandes, do Movimento Sem Terra. Continuará sua maratona inicial no dia 11 de outubro, no Rio de Janeiro, em uma atividade pública na Livraria Leonardo da Vinci. E dias depois, integrantes do El Periscopio com o livro em mãos participarão em intercâmbio com representantes da Central de Movimentos Populares, no 7º Congresso Nacional, a ser realizado entre os dias 26 e 29 de outubro, em Salvador, Bahia.

Pontapé inicial de um caminho “em português” que os ex-presos políticos de Coronda imaginam longo e fecundo. Com outras apresentações possíveis nos próximos meses em Foz do Iguaçu, novamente no Rio de Janeiro, em Porto Alegre etc. Sem perder a esperança de encontrar um multiplicador/distribuidor que nos permita chegar com o livro e com a experiência da “resistência coletiva em Coronda e da solidariedade eterna entre nós” do Brasil a Portugal. Lembrando, como dizem os autores, que “nossas histórias são uma gota d’água no grande Mar da Memória e da luta única por Outro Mundo Possível”.

Tradução: Rose Lima

SergioFerrari
Jornalista
sergioechanger@yahoo.fr

“Debemos respetar la forma como Dios quiso aproximarse a nosotros”

Uno de los mayores intelectuales del país, el teólogo, filósofo y escritor Leonardo Boff, 84 años, acaba de lanzar su nuevo libro La amorosidad de Dios-Abba y Jesús de Nazaret (Editora Vozes). Autor de más de 100 libros, traducidos a prácticamente todas las lenguas modernas, Boff se vuelve, en su nuevo trabajo, hacia la figura del Jesús histórico, el hombre, y el mensaje original que pasó a propagar en la Palestina del siglo I. Mensaje del cual, como afirma en esta entrevista por email a O DIA, la Iglesia se distanció al aliarse con el poder político de las clases dominantes. Lo cual, en su opinión, empieza a cambiar ahora con el Papa Francisco, que vuelve a  acercar la Iglesia al mensaje original de Jesús. 

(Entrevista Bernardo Costa para O DIA)

¿Cuál es la visión central de este nuevo libro suyo y por qué decidió escribirlo?

Hay una antigua discusión sobre en qué momento el hombre Jesús de Nazaret se dio cuenta de que era el Hijo de Dios. La mayoría de los estudiosos evitan esta pregunta por miedo a psicologizar la conciencia de Jesús. A mí siempre me ha preocupado: si Jesús es realmente un hombre como nosotros, nuestro hermano, ¿cómo surgió lentamente su conciencia de ser Hijo de Dios? La concepción tradicional afirma que ya en el seno de María tenía esa conciencia y se relacionaba con el Padre. Esta visión destruye el concepto de encarnación, que es asumir todo lo que es humano y las distintas etapas de la vida, como el bebé que aún no piensa ni habla, y también las limitaciones, las crisis y las superaciones propias de la condición humana. Lloró la muerte de su amigo Lázaro, acariciaba a los niños y nunca criticó a las mujeres, sino que las defendió como a María Magdalena y a la Samaritana.

El libro se atiene más al Jesús histórico que al Cristo de la fe. ¿Por qué es importante no perder de vista al Jesús histórico?

Debemos respetar la forma en que Dios quiso acercarse a nosotros a través de su Hijo, que se encarnó en la condición humana con sus altibajos. No debemos pasar inmediatamente al Cristo de la fe. Debemos partir siempre de la historia concreta de Jesús, de cómo vivía, cómo pensaba, cómo se relacionaba con las mujeres, con los pobres, con los ricos, con el poder y con las amenazas de muerte. Ser cristiano, fundamentalmente, es seguir al Jesús histórico. Él no vino a fundar una nueva religión. Vino a enseñarnos a vivir como él vivió: con amor incondicional, con compasión hacia los que sufren en este mundo, con indignación contra quienes fingían ser piadosos pero eran falsos y fariseos.  Incluso llegó a usar la violencia con quienes hacían negocios dentro del templo de Jerusalén. Y cultivaba una gran amistad con Lázaro y sus hermanas Marta y María.

¿Qué fue y cómo se dio la experiencia mística que tuvo el hombre Jesús de esa amorosidad de Dios-Abba?

Ante el asombro de sus padres, María y José, Jesús desde pequeño se refería a Dios como ‘Papá’ (Abba). Eso era extraño pues los judíos de aquel tiempo, y los de hoy también, muestran tanta reverencia hacia Dios que casi no pronuncian su nombre. Además, en la Biblia judaica, el Antiguo Testamento, jamás aparece esa expresión Abba aplicada a Dios. Es el nombre que los niños usan afectuosamente para su padre o para su abuelo. Que Jesús use esa palabra, Abba, revela cierta intimidad, cierta amorosidad hacia el Dios de la tradición de Abraham, Isaac y Jacob. Pero cuando tenía cerca de 25-26 años oyó que Juan Bautista estaba bautizando a mucha gente en el río Jordán. El bautismo implicaba sumergirse en las aguas del río. Jesús, por curiosidad, fue a ver lo que pasaba allí. Conversó rápidamente con Juan Bautista y con algunos de sus discípulos. Entró en un grupo para dejarse bautizar. Se sumergió como todos. Ellos salieron y él se quedó parado en medio del río. Fue ahí cuando tuvo un profundo choque existencial, una verdadera sacudida en su interior. Tuvo la experiencia profunda de ser el Hijo del Padre, expresada en estas palabras: ‘Tu eres mi Hijo amado y en ti he puesto toda mi alegría’. Jesús tuvo la experiencia de la radical amorosidad de Dios-Padre, como ‘Papá’ (Abba). Quien experimenta así al Padre se siente su Hijo. Las experiencias radicales, dicen los místicos y también los psicólogos, no se dejan expresar con palabras. Así, los evangelistas usan metáforas: una paloma descendió sobre él o se oyó una voz del cielo. Por eso, Jesús fue al desierto. Allí profundizó esta experiencia  y definió cual sería su misión: ni un profeta que transforma piedras en pan, ni un Sumo Sacerdote que introduce una forma religiosa y ética, ni un rey poderoso sobre tierras y pueblos.  Descubrió que debería ser, como está en el profeta Isaías, el Siervo sufriente, que se identifica con los que sufren en este mundo, que debía curar enfermos, consolar a los afligidos e incluso devolver la vida a quien había muerto, como Lázaro o la hija de Jairo. Y vivenció el amor y la ternura infinita de Dios, presente en la palabra Abba.


¿Qué significados y proporciones podría asumir hoy el mensaje que Jesús comenzó a difundir a partir de esta experiencia?

Jesús experimentó el amor radical de Dios por todos, sin importar su condición moral, ya fuera pecador o piadoso cumplidor de los mandamientos. Jesús se acerca a los pecadores, como se consideraba a los recaudadores de impuestos, entra en casa del rico Zaqueo, se encuentra especialmente con los pobres y los oprimidos: a todos quiere anunciar con sus palabras y su ejemplo este mensaje liberador: no temáis, Dios es un Padre amoroso de misericordia infinita. Nadie puede poner límites a su amor y a su misericordia. Todos, pecadores y santos, están bajo el arco iris de la misericordia de este Papá querido (Abba). En otras palabras, dichas también por el Papa Francisco: no hay condenación eterna, es sólo de este mundo, Dios no puede perder a ningún hijo o hija que haya creado con amor. Si perdiera a alguien, no sería a Dios. Como se dice en el libro de la Sabiduría: “Él creó a todos por amor y a nadie con odio, de lo contrario no lo habría creado. Él es el apasionado amante de la vida”. Este mensaje liberador de Jesús es contrario a toda una tradición que anunciaba el Evangelio con el miedo y la amenaza del infierno. Así se ha hecho durante casi todos los siglos, algo que muchas iglesias pentecostales todavía practican.

De qué forma la Iglesia Católica se distanció de ese mensaje original a lo largo de los años? 

La Iglesia se distanció del mensaje liberador de Jesús desde que se alió con el poder político de los emperadores romanos ya en los siglos II-III, comenzando con Constantino y continuando prácticamente hasta nuestros días. En lugar de ser un movimiento, se convirtió en una institución religiosa. Como cualquier institución, ella define quién está dentro y quién fuera, establece doctrinas y leyes, condena y premia. En este contexto, el método del miedo al infierno se utilizaba con todos aquellos que no se sometían a lo que ella ordenaba. A pesar de eso, debemos reconocer que ella guardó los cuatro evangelios, referencia común para todas las iglesias. Dentro de ellas, muchos asumieron el seguimiento de Jesús, pobre y amigo de los pobres, como San Francisco de Asís, la Hermana Dulce, la Madre Teresa de Calcuta y el actual Papa Francisco de Roma. Vivieron el seguimiento de Jesús sin amoldarse (sin desprecio) al camino religioso tradicional.

Usted es amigo y consejero del Papa Francisco. ¿Cómo evalúa los 10 años de su pontificado?

Durante los pontificados de Juan Pablo II y Benedicto XVI la Iglesia experimentó un retorno a la gran disciplina. Se reveló como un castillo cerrado e inmune a los avances de la modernidad, penetrada, según ellos, por muchos errores y desviaciones. Hubo mucha vigilancia sobre las doctrinas y condena a muchos teólogos, los más progresistas. La renovación de la Iglesia, iniciada por el Concilio Vaticano II (1962-1965), sufrió un retroceso. Se hablaba el invierno de la Iglesia. Con el Papa Francisco, que viene de la periferia donde vive la mayoría de los católicos se ha producido un gran cambio. Este Papa siempre se entendió a sí mismo como un teólogo de la liberación de corte argentino: liberación del pueblo oprimido y de la cultura silenciada. Inauguró una nueva forma de ser Papa, sin los aparatos y títulos heredados aún del Imperio Romano y del Renacimiento. Abandonó el palacio papal y se fue a vivir a una casa de huéspedes, Santa Marta.

¿En qué medida el pontificado de Francisco se aproxima del mensaje original de Jesús?

El Papa Francisco ha traído una primavera a la Iglesia, con un aire de libertad y apertura a todas las diversidades. Ha dicho que la Iglesia debe ser como un hospital de campaña que acoge a todos sin preguntar por su origen, religión o condición moral. Como él dice con frecuencia, “una Iglesia siempre en salida” hacia los problemas humanos, especialmente los de los más pobres y los de la gran pobre que es la Madre Tierra, a la que debemos cuidar como nuestra Casa Común. En mi opinión, está inaugurando una nueva genealogía de Papas que vienen de la periferia de la Iglesia y del mundo y que revelan un nuevo rostro del mensaje liberador de Jesús. Por eso, este Papa habla constantemente del Jesús histórico y del modo en que vivió, es decir, una existencia para los más vulnerables e invisibles. Jesús se distanciaba de la religión estricta de la época, ponía en el centro el amor y la misericordia. No hay que olvidar que fueron los religiosos quienes le condenaron a muerte en la cruz. Su resurrección, que es más que la reanimación de un cadáver, significa una insurrección contra la justicia perversa de la época. Él anticipó el fin bueno del ser humano, realizando todas sus potencialidades. El Papa Francisco actualiza y nos hace más accesible el mensaje original de Jesús, de su misericordia sin límites, tema fundamental de sus pronunciamientos.

¿En qué momentos de la humanidad se ha puesto en práctica el mensaje original de Jesús? ¿Por los hombres o por las mujeres?
Yo diría que en todas las generaciones ha habido mujeres y hombres cristianos que se  sintieron fascinados por la figura y la práctica del Jesús histórico. Han llegado a decir: ‘humano como Jesús, sólo Dios mismo’. No buscaban el poder, sino el servicio a los más desamparados. La lista sería inmensa. Pero sin duda sobresalen Santa Teresa de Ávila y San Juan de la Cruz, ambos místicos de ojos abiertos y manos trabajadoras. San Francisco de Asís fue quizá quien más se asemejó a Jesús de Nazaret, viviendo entre leprosos y pobres y llamando a todas las criaturas con el dulce nombre de hermanos y hermanas. Y muchas mujeres que también lo seguían y sólo ellas permanecieron al pie de la cruz. De América Latina no podemos dejar de mencionar al obispo y santo, Don Óscar Romero, obispo de El Salvador, que fue asesinado en la misa cuando levantaba el cáliz con la sangre de Cristo que se mezcló con su sangre.

¿Está usted trabajando o dispuesto a trabajar en un nuevo libro? ¿De qué va a tratar?

Vivo dando charlas por todo Brasil y también en el extranjero. Intento imprimir un tono liberador, propio de la teología de la liberación, sobre todo cuando atiendo a grupos de base y movimientos sociales. Además de eso, escribo a menudo, pues ya son más de cien libros. En los últimos años he trabajado intensamente en ecología integral y he colaborado en la formación de una ecoteología de la liberación. Desde 2001 escribo un artículo semanal, que no ha fallado nunca,  y es traducido al español, italiano, alemán y muchos en inglés. Con casi 85 años estoy ya en el atardecer de la vida. Sigo trabajando, en la actualidad sobre la categoría Transparencia, ya que toda nuestra tradición grecolatina se ha estructurado sobre las categorías de Inmanencia y Trascendencia, colocándolas generalmente en oposición. La categoría Transparencia es típicamente cristiana, ya que la Trascendencia penetró en la Inmanencia a través de la Encarnación, haciendo transparentes la realidad humana y divina. La Transparencia es válida para todas las esferas, especialmente para la ética, y de modo particular para la política y para el mundo de los negocios. 

O perdão: a grandeza e a dignidade das vítimas de extrema violência

                                    Leonardo Boff*

Por iniciativa do bispo Dom Vicente Ferreira, pastor da região da tragédia de Brumadino-MG e do professor e psicanalista René Dentz, foi organizado um livro que recolhe  excelentes estudos sobre o perdão:”Horizontes de Perdão” (Editora Ideias & Letras 2020,pp.180). Sua singularidade reside no fato de  terem sido escolhidos exemplos de perdão de  diferentes países com suas culturas e tradições próprias.

Queremos comentar esta obra por sua alta qualidade e por abordar um tema de grande atualidade, também largamente abordada pelo Papa Francisco na sua encíclica social Fratelli tutti (2020).

O livro “Horizontes de Perdão” tem como foco  pensar o perdão a partir do sofrimento concreto e terrível, suportado por vítimas humanas inocentes ou por todo um povo vitimado durante séculos. Aqui reside sua grande força e também o seu poder de convencimento.

Um exemplo, descrito e analisado pelo bispo Dom Vicente Ferreira e de René Dentz, também organizador desta obra, vem do Brasil, das tragédias criminosas do rompimento de duas barragens da mineradora Vale, em Mariana-MG no dia 05 de maio de 2015, matando 19 pessoas e destruindo a bacia do Rio Doce, com 55 milhões de metros cúbicos de rejeitos de minério e Brumadinho-MG, no dia 25 de janeiro de 2019, com a ruptura da barragem da mesma mineradora Vale, vitimando 272 pessoas, soterradas  sob 12,7 milhões de metros cúbicos de lama e detritos.

O livro abre com um minucioso estudo do bispo Dom Vicente Ferreira, pastor, poeta, músico e profeta: “Brumadinho: o perdão a partir das vítimas de crimes socioambientais”. Precede-o uma pertinente  análise de conjuntura global, sob a hegemonia do capital, uma máquina de fazer vítimas no mundo inteiro. A mineradora Vale representa a lógica do capital que prefere o lucro à vida, aceitando o risco de dizimar centenas pessoas e de danificar profundamente a natureza.Mesmo consciente dos danos perpetrados, reluta  em compensar com justiça e equidade as famílias e pessoas afetas.

Dom Vicente procura entender o processo vitimatório da globalização do capital com as categorias do sociólogo português, Boaventura de Souza Santos e a compreensão da violência com a psicanálise de Sigmund Freud que face à nossa capacidade de superar a violência  se mostra, de certa forma, cético e  resignado.

Dom Vicente supera esta resignação com a contribuição da mensagem cristã bem no espírito da Fratelli tutti do Papa Francisco. Esta testemunha o sacrifício da vítima inocente, do Crucificado que rompeu o círculo da vingança e do ressentimento com o perdão a seus algozes. Esta visão foi bem desenvolvida pelo pensador René Girard referido no estudo. Este pensador francês emerge como um dos que melhor estudou a dinâmica da  violência que se origina pelo desejo mimético excludente (alguém quer só para si um objeto excluindo a terceiros), mas que a proposta cristã mostrou que este desejo mimético pode ser transformado em includente (desejamos juntos  e compartilhamos o mesmo objeto) pelo perdão incondicional.

Mas esse perdão coloca a exigência de justiça a ser praticada por aqueles que provocaram o desastre criminoso, no caso os responsáveis da mineradora Vale. Essa luta, o bispo a leva com determinação e ternura, com canto, poesia e oração junto com a comunidade dos sofredores que ele incansavelmente, com uma  generosa equipe, acompanha. Cabe citar novamente o que diz a Fratelli tutti:.”Não se trata de propor um perdão renunciando aos próprios direitos perante um poderoso corrupto… Quem sofre injustiça tem de defender vigorosamente os seus direitos e os da sua família, precisamente porque deve guardar a dignidade que lhes foi dada, uma dignidade que Deus ama”(n.241)

Para entender melhor a dinâmica da violência e do perdão, alguns autores foram seminais: o filósofo francês Paul Ricoeur com seu livro “La mémoire, l’histoire, l’oubli” (Paris, Seuil 2000) e Franz Fanon, “Os condenados da Terra” (Rio de Janeiro, Civilização Brasileira 1968).

A reconciliação e o perdão não terminam em si mesmos. Novamente  a Fratelli tutti  é inspiradora:

Como ensinaram os bispos da África do Sul, a verdadeira reconciliação alcança-se de maneira proativa, «formando uma nova sociedade baseada no serviço aos outros, e não no desejo de dominar; uma sociedade baseada na partilha do que se possui com os outros, e não na luta egoísta de cada um pela maior riqueza possível; uma sociedade na qual o valor de estar juntos como seres humanos é, em última análise, mais importante do que qualquer grupo menor, seja ele a família, a nação, a etnia ou a cultura» (n.213). E os bispos da Coreia do Sul destacaram que uma verdadeira paz «só se pode alcançar quando lutamos pela justiça através do diálogo, buscando a reconciliação e o desenvolvimento mútuo”(n.229)

Releva enfatizar: cada povo e cada grupo encontraram caminhos próprios para chegar ao perdão. Assim, por exemplo, para os afrodescendentes brasileiros é imprescindível para um perdão real que os brancos que os vitimizaram pela escravidão, reconheçam a desumanidade que cometerem, reforcem a identidade africana e os restaurem na sua dignidade ofendida. Bem se disse: “o perdão é mais que uma justa justiça, antes é da ordem da doação- doação aos outros”.

No Congo Brazzaville, país marcado por sangrentas guerras civis, o conceito chave foi “palaver”, recorrente nos países do sul do Saara. “Palaver” implica buscar a verdade pelo diálogo, pela liberdade de todos falarem, independemente de seu lugar social e de gênero, até se elaborar um consenso em função da paz social; todos se perdoam mutuamente, sem penalizar ninguém mas todos se propõem corrigir os erros. O texto mostra como esse pacto pela ganância do poder de grupos e pela vasta corrupção que assola o  país, não conseguiu prevalecer e ter sua sustentabilidade garantida. Mas velu a tentativa.

Na Africa do Sul, o conceito-chave no processo de reconciliação e de perdão, conduzido pelo arcebispo anglicano Desmod Tutu, foi a categoria “Ubuntu”. Ela fundamentalmente expressa essa profunda verdade antropológica: “eu só sou eu através de você”. Todos se sentem interligados. A estratégia era: o vitimador confessa seu crime com toda sinceridade; a vítima escuta atentamente e narra a sua dor; restaura-se a justiça  reparadora e restaurativa, eventualmente aceita-se uma punição curativa, exceto para os crimes mais hediondos de  lesa-humanidade que são encaminhados ao tribunal competente.

Outra contribuição trabalha estudos avançados de mereologia (como as partes se relacionam com outras partes, como elas se situam no todo e como dentro dele se movem). Os dois autores articulam os dados numa certa harmonia, base para o perdão, assim definido por eles: 

A superação do afeto negativo e do julgamento em relação ao ofensor, não negando a nós mesmos o direito a tal afeto e julgamento, mas se esforçar em ver o ofensor com compaixão, benevolência e amor.

O pressuposto antropológico é que por mais criminoso que alguém seja, nunca é só criminoso, jamais deixa de ser humano com muitas outras virtualidades também positivas. Da mesma forma, por mais que a população trazida violentamente de Africa para ser escrava no Brasil, nunca os senhores de escravos conseguiram matar-lhes a liberdade. Eles resistiram e procuraram sempre conservar sua identidade cultural e religiosa. O quilombolismo é disso uma prova ainda hoje visível nas centenas de quilombos existentes, onde se vive uma vida mais comunitária, igualitária, na linha do “Ubuntu”.

 Entretanto, enquanto não se parar de dar um dowload do ressentimento e do espírito de vendetta, nunca se rasgará o caminho para um verdadeiro perdão. Não se trata de esquecimento, mas de não deixar de ser refém de um interminável ciclo de amargura e de mágoa.

Nesse ponto do perdão generoso, o cristianismo mostrou seu capital humanístico. Como o texto de Dom Vicente o mostra e especialmente o da Colôambia que assim o expressa: perdoar o  imperdoável não é só uma amostra como o expírito humano pode revelar a sua transcendência, a sua capacidade de estar para além de qualquer situação por mais desumana que se apresente, mas é acima de tudo o dom da graça divina. Perdoamos porque fomos perdoados por Deus e por Cristo cuja misericórdia não sofre nenhuma limitação.

A justiça é irrenunciável. Mas não é ela que escreve a última página da história humana. Excelentemente respondeu um filósofo Roger Icar a Wiesenthal, aquele que  buscava no mundo todo criminosos nazistas: “O perdão sem justiça revela fraqueza, mas uma justiça sem perdão representa uma força desumana”.

Estes textos revelam a excelência das reflexões sobre o perdão, dos melhores publicados nos últimos tempos. A parte desumana no ser humano, pode pelo perdão e pela reconciliação ser resgatada e transformada. Essa é a grande lição que esta notável obra “Horizontes de Perdão” nos quer transmitir, tão bem organizada pelo bispo-pastor Dom Vicente de Brumadinho e pelo erudito  psicanalista Renê Dentz.

*Leonardo Boff é teólogo e filósofo e a propósito do tema Paixão de Cristo-Paixão do mundo, Vozes 1977; Princípio de compaixão e cuidado,Vozes 2009; Reflexões de um velho teólogo e pensador, Vozes 2018.