Esistono limiti alla crudeltà umana?

Leonardo Boff

Il massacro perpetrato dalla polizia il 28 ottobre nei complessi di Alemão e Penha a Rio de Janeiro costituisce un crimine commesso da agenti dello Stato,  di letalità elevata con 121 vittime. È spaventoso che il 57% della popolazione abbia approvato il massacro, in cui teste sono state decapitate, arti amputati e corpi mutilati. Cláudio Castro, il governatore di Rio, che ha orchestrato il massacro, è stato acclamato nei quartieri benestanti della zona sud di Rio. Il suo indice di gradimento è cresciuto in modo sorprendente.

Analisti di spicco come Paulo Sérgio Pinheiro, ex ministro dei Diritti Umani e relatore speciale delle Nazioni Unite sui crimini in Siria, ce ne offrono il vero significato: “Il massacro di Rio deve essere compreso in un contesto politico più ampio, orchestrato da Castro e da altri governatori di estrema destra. Dopo la condanna e l’incarcerazione del loro leader massimo [n.r. Jair Bolsonaro] e dei suoi alleati, questi attori politici cercano di usare il discorso della guerra contro il traffico di droga per destabilizzare lo Stato federale e migliorare le loro proprie prospettive alle prossime elezioni. Inoltre, cercano di allinearsi alla narrativa continentale di lotta al narcotraffico, attualmente guidata dal Presidente Trump”.

Sicuramente questa manipolazione politico-elettorale della peggior specie, rivela la completa erosione dell’etica e la mancanza di qualsiasi sentimento di empatia per le vittime, molte delle quali innocenti che non avevano nulla a che fare con il narcotraffico. È la necropolitica divenuta standard, poiché poveri, neri, quilombolas e abitanti delle favelas non contano nulla, come pensano e dicono. Sono zeri economici e scarti “usa e getta”.

Ma questa barbarie, con il suo contenuto criminale e politico, solleva una domanda metafisica e persino teologica che pone una sfida terribile: come può l’essere umano essere così crudele e malvagio? Fino a che punto può arrivare la sua disumanità? Di fronte agli attuali genocidi a Gaza, in Ucraina, in Sudan, come teologi e altri, ci chiediamo con orrore:

“Dov’era Dio in quelle terribili circostanze? Perché ha permesso il trionfo della barbarie? Perché è rimasto in silenzio? Perché ha permesso che in un secolo e mezzo dall’inizio della colonizzazione/invasione europea, secondo le ricerche più recenti, 61 milioni di persone originarie del continente di Abya Yala fossero vittime? E che fossero uccisi, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, 10 milioni di congolesi, bambini mutilati, senza mani e senza gambe, come conseguenza degli omicidi ordinati dall’insensato re Leopoldo II del Belgio, che aveva fatto di quelle terre la sua fattoria personale. Chi ricorda questa crudeltà? E soffriamo perché questi milioni di uomini e donne neri non erano anche suoi figli e figlie, nati nell’amore di Dio? Perché non li ha aiutati quando avrebbe potuto, e perché non l’ha fatto?

La teologia non possiede alcuna risposta, mantiene un silenzio sofferente ma non può, come Giobbe, smettere di interrogare Dio, proclamato nei canti liturgici e nelle Comunità Ecclesiali di Base come il Signore della storia, buono e misericordioso. Quando la fede tace, rimangono solo le grida di speranza che giungono sotto forma di lamenti, come sono pieni i salmi stessi, e persino Cristo sulla croce gridò: “Elì, Elì, lama sabactàni“: Dio mio, perché mi hai abbandonato? Rassegnato, rese il suo spirito a Dio, rendendolo un mistero nascosto.

Ma non è solo un problema teologico, è anche una indagine filosofica. Chi è, in ultima analisi, l’essere umano e come può essere così disumano e spietato verso i suoi simili? Per secoli e secoli, da quando abbiamo conoscenza dei tempi immemorabili, Caino è sempre stato presente nello svolgersi della storia. Il male è diventato banale e incorporato nelle società umane. Come ha osservato la filosofa Hannah Arendt: “il male può essere banale, ma mai innocente”. È il frutto di un’intenzione perversa che odia, vuole strangolare e uccidere l’altro, sia nella vita familiare, sociale e nelle guerre che sono sempre esistite nel corso della storia. Tutte le religioni, i percorsi spirituali ed etici cercano di limitare l’entità del male umano. Ma esso persiste sempre.

Si dice che appartenga alla condizione umana il fatto di essere intelligenti e contemporaneamente dementi, posseduti dalla pulsione di morte insieme con la pulsione di vita, esseri di luce accompagnati dall’ombra, il satana della Terra e anche il suo angelo custode. È vero, siamo tutto questo. Ma queste verifiche descrivono fenomenologicamente un dato innegabile, ma non lo spiegano. Perché deve essere così? Non potrebbe essere differente?

Qui sentiamo i limiti della ragione, che non può tutto. Una certa comprensione del male non deriva dalla ragione teorica, come spiegato sopra, ma dalla ragione pratica. Ciò significa: il male non esiste per essere compreso, ma per essere combattuto. Combattendolo, una certa comprensione ci giunge, perché l’essere umano impara a porre limiti al suo male, rafforzando il più possibile la dimensione della luce e bontà. Pepe Mujica, ex presidente dell’Uruguay, ci ha lasciato un messaggio ispiratore: “sono stato sconfitto, calpestato, torturato e lasciato quasi morto. Ma mi sono sempre rialzato e mai ho desistito al mio sogno di lottare per un mondo migliore per tutti”. Forse questa è il cammino giusto di fronte alla sfida della crudeltà umana. Non fu diverso il cammino di Gesù di Nazareth, che fu giudizialmente assassinato a causa dell’utopia di un regno di giustizia, di fratellanza, di pace e di accoglienza di Dio.

Seguendo il cammino di questi maestri spirituali presenti in tutte le culture, continuiamo a credere che la vita valga più del profitto e della politica elettorale, e che debba essere sempre rispettata come il valore più grande del mondo.

Leonardo Boff è teologo, filosofo e scrittore. Ha scritto A busca da justa medida (2 vol.), Vozes 2023; Paixão de Cristo-paixão do mundo, Vozes 1977 premiato come il libro religioso dell’anno negli Stati Uniti d’America.

COP30: Adattamento o Prevenzione?

di Michael Löwy

Michael Löwy, direttore di ricerca in sociologia presso il Centre Nationale de la Recherche Scientifique (CNRS). Brasiliano di origine francese residente a Parigi, è un grande amico del Brasile e partecipa attivamente alla nostra realtà politica e sociale. Di origine ebraica, è un serio studioso di sociologia della religione, di quanto di meglio hanno scritto Marx e Max Weber e ha dedicato parte del suo lavoro allo studio della teologia della liberazione. Mantengo un dialogo proficuo con lui, quasi settimanale. Mi ha inviato l’articolo in francese, ora pubblicato su A Terra é Redonda (26-10-2025). Questo articolo è illuminante e allo stesso tempo un monito sulle possibili minacce al futuro dell’umanità, ma apre lo spazio a una speranza che nasce dal basso. LBoff

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Il futuro non sarà conquistato con la rassegnazione nell’adattarsi al collasso, ma con il coraggio di prevenirne le sue cause.

1.

Come sappiamo, la COP30, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, si tiene in questi giorni a Belém del Pará.

Ciò suscita speranza, poiché si terrà in un paese governato dalla sinistra, sotto l’egida del presidente Lula. Ma bisogna constatare che il più grande inquinatore del pianeta, gli Stati Uniti, sarà assente, poiché Donald Trump – fanatico negazionista del cambiamento climatico – ha ritirato il suo paese da questo forum internazionale.

Infelicemente, una recente decisione delle autorità brasiliane getta un’ombra su questo incontro: l’autorizzazione all’esplorazione petrolifera nei fondali marini vicino alla foce del Rio delle Amazzoni. Gli ambientalisti brasiliani denunciano questa decisione, in quanto rappresenta un enorme rischio – in caso di incidente con trivellazioni offshore – che una “onda nera” possa distruggere i fragili ecosistemi della foresta pluviale amazzonica.

Inoltre, se le enormi quantità di petrolio depositate sui fondali marini di questa regione venissero estratte, commercializzate e bruciate, ciò sarebbe un contributo decisivo al cambiamento climatico.

In queste condizioni, cosa ci si può aspettare da questa COP30? Va detto che il bilancio delle precedenti 29 non è glorioso: è vero che alcune risoluzioni sono state adottate, ma… non sono mai state messe in pratica. Le emissioni non hanno mai smesso di crescere, l’accumulo di gas serra ha raggiunto proporzioni senza precedenti e il limite pericoloso di 1,5°C (superiore all’era preindustriale) è già stato raggiunto.

Quali sono le ambizioni degli organizzatori della nuova COP? Possiamo farci un’idea leggendo una recente intervista ad André Correa do Lago, nominato da Lula a presiedere la COP30. Diplomatico con una vasta esperienza nello sviluppo sostenibile, è attualmente Segretario per il Clima, l’Energia e lo Sviluppo presso il Ministero degli Affari Esteri brasiliano. In questa intervista, Correa do Lago afferma: “Vorrei molto che le persone ricordassero la COP30 come una COP di adattamento“.

2.

Cosa significa ciò? Certamente, adattarsi alle conseguenze dei cambiamenti climatici – incendi boschivi, tornado, inondazioni catastrofiche, temperature insopportabili, siccità, desertificazione, mancanza di acqua dolce, innalzamento del livello del mare, ecc. (l’elenco è immenso) – è necessario, soprattutto nei paesi del Sud del mondo, le prime vittime di questi danni.

Ma dare priorità all'”adattamento” anziché alla “prevenzione” è un modo indiretto di rassegnarsi all’inevitabilità dei cambiamenti climatici. È un discorso che risuona sempre più tra i leader di diversi paesi in tutto il mondo.

La logica di questo ragionamento è semplice: poiché è impossibile fare a meno dei combustibili fossili, del trasporto globalizzato di merci, dell’agricoltura industriale e di altre molteplici attività economiche responsabili dei cambiamenti climatici, ma necessarie per il corretto funzionamento dell’economia capitalista, ci rimane solo la possibilità di adattarci.

Se, in un primo momento, l’adattamento è ancora possibile, a partire da un certo aumento della temperatura – due gradi? tre gradi? nessuno può dirlo – diventerà impossibile. Come adattarsi se la temperatura supera i 50 gradi? E se l’acqua potabile diventasse una risorsa scarsa? Potremmo moltiplicare gli esempi.

Non ci resta molto tempo per prevenire una catastrofe che metterebbe a repentaglio la sopravvivenza umana su questo pianeta. E, contrariamente a quanto pensano gli abitanti di Marte come Elon Musk, non esiste un pianeta B. Se la COP30 darà priorità all’adattamento rispetto alla prevenzione, sarà ricordata come la COP della capitolazione.

Felicemente, in contemporanea alla COP, si terrà a Belém do Pará un Vertice dei Popoli, a cui parteciperanno movimenti ecologisti, contadini, indigeni, femministi, ecosocialisti e altri, che discuteranno le vere soluzioni alla crisi ecologica e scenderanno in piazza a Belém do Pará per protestare contro l’inerzia dei governi e affermare la necessità di rompere con il sistema. Sono seminatori di futuro, che rifiutano la rassegnazione e il conformismo.

Die Wurzeln aus unserer eigenen Quelle bewässern

LeonardoBoff  

Es lässt sich nicht leugnen, dass wir uns im Zentrum einer gewaltigen globalen Krise befinden. Niemand weiß, wohin wir steuern. Es ist ratsam, Historiker zu konsultieren, die in der Regel eine ganzheitliche Sicht und ein feines Gespür für die großen Trends der Geschichte besitzen. Ich zitiere einen meiner inspirierendsten Autoren: Eric Hobsbawn in seinem bekannten Übersichtswerk „The Age of Extremes“ (1994). Am Ende seiner Überlegungen kommt er zu folgendem Schluss:

Die Zukunft kann keine Fortsetzung der Vergangenheit sein … Unsere Welt ist von Explosion und Implosion bedroht … Wir wissen nicht, wohin wir gehen. Eines ist jedoch klar: Wenn die Menschheit eine lebenswerte Zukunft will, kann sie dies nicht durch die Verlängerung der Vergangenheit oder der Gegenwart erreichen. Wenn wir versuchen, das dritte Jahrtausend auf diesem Fundament aufzubauen, werden wir scheitern. Und der Preis des Scheiterns, d. h. die Alternative zum gesellschaftlichen Wandel, ist Dunkelheit.“ (S. 562) Dunkelheit könnte das Ende der Spezies Homo bedeuten. Max Weber sagte etwas Ähnliches in seiner letzten öffentlichen Konferenz, in der er (endlich!) den Kapitalismus als in ein „Stahlhartes Gehäuse“ eingeschlossen bezeichnete, das er selbst nicht durchbrechen kann. Daher kann es uns in eine große Katastrophe führen: „Was uns erwartet, ist nicht die Blüte des Herbstes, sondern eine Polarnacht, eisig, dunkel und mühsam“ (Vgl. M. Löwy, La jaula de hierro: Max Weber y el marxismo weberiano, Mexiko 2017). Und schließlich warnt Papst Franziskus selbst in der Enzyklika Fratelli tutti (2020): „Wir sitzen im selben Boot, entweder werden wir alle gerettet oder niemand wird gerettet“ (Nr. 32).


Im ökologischen Bereich und unter namhaften Analysten der globalen Geopolitik ist die Überzeugung weit verbreitet: Im kapitalistischen System, das das unbegrenzte (ungerechtfertigte) Streben nach finanziellem Profit in den Vordergrund stellt und zwei Ungerechtigkeiten schafft – eine soziale (die unermessliche Armut verursacht) und eine ökologische (die Zerstörung der Ökosysteme), gibt es keine Lösung für die aktuelle Krise. Einstein wird der Satz zugeschrieben: „Das Denken, das die Krise verursacht hat, kann nicht dasselbe sein, das uns aus ihr herausführen wird; wir müssen uns ändern.“

Da die vielversprechenden Zukunftsvisionen der Vergangenheit über die Zukunft der Menschheit gescheitert sind, können sie uns keine neuen Wege aufzeigen, außer vielleicht den planetarischen Ökosozialismus, der nichts mit dem einst existierenden und gescheiterten Sozialismus zu tun hat. Oder die Rückkehr zur Lebensweise der Ureinwohner, deren überliefertes Wissen oder das „bien vivir y convivir” der Andenbewohner uns noch eine Zukunft auf diesem Planeten sichern würden. Aber es scheint mir, dass wir uns so sehr in unserer systemischen Blase verstrickt haben, dass dieser Vorschlag, so reizvoll er auch sein mag,  global gesehen undurchführbar ist.

Wenn wir am Ende der gangbaren Wege angelangt sind und nur noch den Horizont vor Augen haben, scheint es mir, dass uns nur noch bleibt, uns für uns selbst zu entscheiden und noch nicht ausprobierte Möglichkeiten zu erkunden. Wir sind von Natur aus ein unendliches Projekt und ein Knotenpunkt  von Beziehungen in alle Richtungen. Wir müssen in uns selbst eintauchen und unsere  Wurzeln in der Quelle tränken, die immer in uns in Form von unerschütterlicher Hoffnung, großen Träumen,  realisierbaren Mythen und innovativen Projekten für einen anderen Weg vor uns sprudelt.

Wenn ich den Menschen als strukturierende Referenz nehme, denke ich nicht an eine Anthropologie der Anthropologen und Anthropologinnen oder an die immer bereichernden Wissenszweige über den Menschen. Ich denke an den Menschen in seiner unergründlichen Radikalität, die sich um den Bereich des Geheimnisses rankt, das sich, je näher wir ihm kommen, umso weiter entfernt und tiefer präsentiert. Und es bleibt ein Geheimnis in jedem Wissen. Das war die Erkenntnis, die der Heilige Augustinus über sich selbst gewann: factum sum mysterium mihi: „Ich bin mir selbst ein Geheimnis geworden”. Dieses Geheimnis ist Ausdruck eines größeren Geheimnisses, nämlich des Universums selbst, das sich noch in der Entstehung und Expansion befindet. Daher ist der Mensch als Geheimnis niemals von diesem Prozess, dessen Teil er ist, getrennt, was über eine rein individualistische Sichtweise des Menschen hinausgeht. Es ist wichtig, niemals zu vergessen, dass er ein Wesen mit unbegrenzten Beziehungen ist, sogar mit dem Unendlichen. Lassen Sie uns einige Daten aufzählen, die zu unserem Wesen gehören und auf deren Grundlage wir neue Zukunftsvisionen entwickeln können.

Zunächst ist es wichtig, den Menschen als intreligente und gefülvole Erde zu verstehen, die in einem Moment ihrer Komplexität zu fühlen, zu denken, zu lieben, zu pflegen und zu verehren begann. So brach der Mensch, Mann und Frau, in den kosmogenischen Prozess ein. Nicht ohne Grund wird er Homo oder Adam genannt, was beides bedeutet: „aus Erde gemacht“ oder fruchtbares, bebaubares Land.

Im Mittelpunkt des menschlichen Wesens steht die Liebe, die, wie F. Maturana und J. Watson gezeigt haben, seine biologische Grundlage bildet. Watson sagt in seinem berühmten Buch DNA: The Secret of Human Life (2005): „Liebe lässt uns füreinander sorgen; es ist die Liebe, die unser Überleben und unseren Erfolg auf diesem Planeten ermöglicht hat; dieser Impuls, so glaube ich, wird unsere Zukunft sichern; ich bin sicher, dass die Liebe in unserer DNA verankert ist“ (S. 414). Es wird keine menschliche Transformation oder Revolution geben, die nicht von Liebe durchdrungen ist.

Zusammen mit der Liebe entsteht die Fürsorge, die seit langem als Wesen des Menschen verstanden wird. Da sie kein spezielles Organ hat, ist es die Fürsorge für sich selbst, für andere und für die  Natur, die uns das Leben sichert.

Es war die Solidarität/Kooperation des gemeinsamen Essens, die uns einst den Sprung vom Tierischen zum Menschlichen ermöglichte. Was gestern wahr war, ist auch heute noch wahr und wesentlich, wenn auch rar. Als relationales Wesen sind Solidarität und Kooperation die Grundlage jeglichen Zusammenlebens.

Neben der Intelligenz des neokortikalen Gehirns gibt es die Emotionen des limbischen Gehirns, das vor Millionen von Jahren entstand und der Sitz von Liebe, Empathie, Mitgefühl, Ethik und der gesamten Welt der Exzellenz ist. Wir sind fühlende Wesen. Ohne eine emotionale Bindung zwischen uns Menschen und der Natur verfällt und verkümmert alles.

Tief in uns lebt die natürliche Spiritualität, wie die new science behauptet,die ebenso anerkannt wird wie Intelligenz und Emotionen. Sie ist älter als jede Religion, denn sie ist die Quelle, aus der alle schöpfen, jeder auf seine Weise. Spiritualität ist unser Wesen und drückt sich in bedingungsloser Liebe, Solidarität, Transparenz und allem aus, was uns menschlicher, beziehungsfähiger und offener macht.

Spiritualität lässt uns begreifen, dass unter allen Lebewesen eine kraftvolle und liebevolle Energie existiert, die Kosmologen den Abgrund nennen und die alles Existierende hervorbringt und erhält. Der Mensch kann sich dieser tiefen Energie öffnen, mit ihr kommunizieren und Staunen und Ehrfurcht vor der Erhabenheit des Universums und seines Schöpfers empfinden.

Realistisch betrachtet gehen mit solchen Werten auch ihre Gegensätze einher – wir sind Sapiens und Demens –, die nicht unterdrückt werden können, sondern in Grenzen gehalten werden müssen. Indem wir unsere Wurzeln in dieser ursprünglichen Quelle nähren, können wir eine andere Zukunft gestalten können in der Liebe, Solidarität und BienVivir die Grundlage bilden.

Leonardo Boff Ökotheologe. Philosof un Schriststeller.

Übersetzung: Bettina Gold-Hartnack

Gibt es Grenzen für menschliche Grausamkeit?

Leonardo Boff

Das Polizeimassaker vom 28. Oktober in den Wohnkomplexen Alemão und Penha in Rio de Janeiro war ein äußerst brutales Verbrechen, begangen von Staatsbeamten, dem 121 Menschen zum Opfer fielen. Erschreckend ist, dass 57 % der Bevölkerung das Massaker, bei dem Köpfe abgetrennt, Gliedmaßen abgetrennt und Leichen verstümmelt wurden, gutgeheißen haben. Cláudio Castro, der Gouverneur von Rio, der das Massaker anordnete, wurde in den wohlhabenden Vierteln der Südzone Rios bejubelt. Seine Zustimmungswerte sind sprunghaft angestiegen.

Namhafte Analysten wie Paulo Sérgio Pinheiro, ehemaliger Menschenrechtsminister und UN-Sonderberichterstatter für Verbrechen in Syrien, erklären die wahre Bedeutung: „Das Massaker in Rio muss in einem breiteren politischen Kontext verstanden werden, der von Castro und anderen rechtsextremen Gouverneuren orchestriert wurde. Nach der Verurteilung und Inhaftierung ihres Machthabers und seiner Verbündeten versuchen diese politischen Akteure, den Diskurs des Drogenkriegs zu nutzen, um den Bundesstaat zu destabilisieren und ihre Chancen bei den nächsten Wahlen zu verbessern. Darüber hinaus versuchen sie, sich dem kontinentalen Narrativ der Drogenbekämpfung anzuschließen, das derzeit von Präsident Trump angeführt wird.“

Diese wahlpolitische Manipulation schlimmster Art offenbart den völligen Verfall der Ethik und das Fehlen jeglichen Mitgefühls für die Opfer, von denen viele unschuldig sind und nichts mit Drogenhandel zu tun haben. Es ist Nekropolitik in Reinkultur, denn die Armen, Schwarze, Quilombola-Gemeinschaften und Favela-Bewohner zählen nichts, wie sie selbst glauben und behaupten. Sie sind wirtschaftlich wertlos und entbehrlich.

Doch diese Barbarei mit ihrem kriminellen und politischen Kern wirft eine metaphysische und sogar theologische Frage auf, die eine furchtbare Herausforderung darstellt: Wie können Menschen nur so grausam und böse sein? Wie weit kann ihre Unmenschlichkeit gehen? Angesichts der aktuellen Völkermorde in Gaza, der Ukraine und dem Sudan fragen wir uns als Theologen und andere mit Entsetzen:

„Wo war Gott unter diesen schrecklichen Umständen? Warum hat er den Triumph der Barbarei zugelassen? Warum hat er geschwiegen? Warum hat er zugelassen, dass in anderthalb Jahrhunderten seit Beginn der europäischen Kolonialisierung/Invasion laut neuesten Untersuchungen 61 Millionen Menschen der Ureinwohner des Kontinents Abya Yala ums Leben kamen? Und was ist mit den ermordeten Kongolesen, die der wahnsinnige König Leopold II. von Belgien, der diese Länder zu seinem persönlichen Landgut gemacht hatte, Ende des 19. und Anfang des 20. Jahrhunderts ermorden ließ, 10 Millionen Menschen, darunter verstümmelte Kinder ohne Hände und Beine. Wer erinnert sich an diese Grausamkeit? Und warum leiden wir darunter, dass diese Millionen von schwarzen Männern und Frauen nicht auch seine Söhne und Töchter waren, geboren in der Liebe Gottes? Warum hat er ihnen nicht geholfen, obwohl er es hätte tun können, und warum hat er es nicht getan?

Die Theologie hat keine Antworten; sie schweigt leidend, doch wie Hiob kann auch sie nicht anders, als Gott zu hinterfragen, der in liturgischen Gesängen und in den Basisgemeinden als der gütige und barmherzige Herr der Geschichte verkündet wird. Wenn der Glaube verstummt, bleiben nur noch die Schreie der Hoffnung, die sich in Klagen äußern, wie sie zahlreich in den Psalmen zu finden sind. Selbst Christus rief am Kreuz: „Eli, Eli, lama sabachthani?“: Mein Gott, warum hast du mich verlassen? Ergeben übergab er seinen Geist Gott, und zog sich in tiefste Verborgenheit zurück.

Doch es ist nicht nur ein theologisches, sondern auch ein philosophisches Problem. Wer ist letztlich der Mensch, und wie kann er so unmenschlich und gnadenlos gegenüber seinen Mitmenschen sein? Seit Jahrhunderten, seit Urzeiten, ist Kain stets Teil der Geschichte. Das Böse ist allgegenwärtig und in die menschlichen Gesellschaften integriert. Wie die Philosophin Hannah Arendt bemerkte: „Das Böse mag banal sein, aber niemals unschuldig.“ Es ist die Frucht einer perversen Absicht, die den anderen hasst, ihn erwürgen und ermorden will, sei es im Familienleben, im gesellschaftlichen Leben oder in den Kriegen, die es seit jeher gegeben hat. Alle Religionen, spirituellen und ethischen Wege versuchen, das Ausmaß des menschlichen Bösen einzudämmen. Doch es bleibt immer bestehen.

Es heißt, es gehöre zur conditio humana, dass wir Wesen sind, die gleichzeitig intelligent und wahnsinnig sind, vom Todestrieb und vom Lebensdrang besessen, Wesen des Lichts, begleitet von Schatten, der Satan der Erde und auch ihr Schutzengel. Es stimmt, wir sind all das. Aber diese Feststellungen beschreiben phänomenologisch eine unbestreitbare Tatsache, erklären diese aber nicht. Warum muss das so sein? Könnte es nicht anders sein?

Hier stoßen wir an die Grenzen der Vernunft, die nicht alles erfassen kann. Ein tieferes Verständnis des Bösen entspringt nicht, wie oben erläutert, der theoretischen, sondern der praktischen Vernunft. Das bedeutet: Das Böse ist nicht dazu da, verstanden, sondern um bekämpft zu werden. Indem wir es bekämpfen, gewinnen wir ein gewisses Verständnis, denn die Menschen lernen, ihrer Boshaftigkeit Grenzen zu setzen und so die Dimension des Lichts und des Guten zu stärken. Pepe Mujica, der ehemalige Präsident Uruguays, hinterließ uns eine inspirierende Botschaft: „Ich wurde besiegt, mit Füßen getreten, gefoltert und dem Tode nahe zurückgelassen. Doch ich stand immer wieder auf und gab meinen Traum vom Kampf für eine bessere Welt für alle nie auf.“ Vielleicht ist dies der richtige Weg angesichts der Herausforderung menschlicher Grausamkeit. Nicht anders erging es Jesus von Nazareth, der aufgrund seiner Vision eines Reiches der Gerechtigkeit, der Geschwisterlichkeit, des Friedens und eines Gottes, der alle willkommen heißt, hingerichtet wurde.

In Anlehnung an den Weg jener spirituellen Meister aller Kulturen glauben wir weiterhin, dass das Leben mehr wert ist als Profit und Wahlpolitik und dass es stets als der höchste Wert der Welt geachtet werden sollte.
Leonardo Boff Theologe, Philosoph, Schriftsteller
Autor von: Die Suche nach dem rechten Maß. Wie der Planet Erde wieder ins Gleichgewicht kommt, LIT Verlag 2023