Esistono limiti alla crudeltà umana?

Leonardo Boff

Il massacro perpetrato dalla polizia il 28 ottobre nei complessi di Alemão e Penha a Rio de Janeiro costituisce un crimine commesso da agenti dello Stato,  di letalità elevata con 121 vittime. È spaventoso che il 57% della popolazione abbia approvato il massacro, in cui teste sono state decapitate, arti amputati e corpi mutilati. Cláudio Castro, il governatore di Rio, che ha orchestrato il massacro, è stato acclamato nei quartieri benestanti della zona sud di Rio. Il suo indice di gradimento è cresciuto in modo sorprendente.

Analisti di spicco come Paulo Sérgio Pinheiro, ex ministro dei Diritti Umani e relatore speciale delle Nazioni Unite sui crimini in Siria, ce ne offrono il vero significato: “Il massacro di Rio deve essere compreso in un contesto politico più ampio, orchestrato da Castro e da altri governatori di estrema destra. Dopo la condanna e l’incarcerazione del loro leader massimo [n.r. Jair Bolsonaro] e dei suoi alleati, questi attori politici cercano di usare il discorso della guerra contro il traffico di droga per destabilizzare lo Stato federale e migliorare le loro proprie prospettive alle prossime elezioni. Inoltre, cercano di allinearsi alla narrativa continentale di lotta al narcotraffico, attualmente guidata dal Presidente Trump”.

Sicuramente questa manipolazione politico-elettorale della peggior specie, rivela la completa erosione dell’etica e la mancanza di qualsiasi sentimento di empatia per le vittime, molte delle quali innocenti che non avevano nulla a che fare con il narcotraffico. È la necropolitica divenuta standard, poiché poveri, neri, quilombolas e abitanti delle favelas non contano nulla, come pensano e dicono. Sono zeri economici e scarti “usa e getta”.

Ma questa barbarie, con il suo contenuto criminale e politico, solleva una domanda metafisica e persino teologica che pone una sfida terribile: come può l’essere umano essere così crudele e malvagio? Fino a che punto può arrivare la sua disumanità? Di fronte agli attuali genocidi a Gaza, in Ucraina, in Sudan, come teologi e altri, ci chiediamo con orrore:

“Dov’era Dio in quelle terribili circostanze? Perché ha permesso il trionfo della barbarie? Perché è rimasto in silenzio? Perché ha permesso che in un secolo e mezzo dall’inizio della colonizzazione/invasione europea, secondo le ricerche più recenti, 61 milioni di persone originarie del continente di Abya Yala fossero vittime? E che fossero uccisi, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, 10 milioni di congolesi, bambini mutilati, senza mani e senza gambe, come conseguenza degli omicidi ordinati dall’insensato re Leopoldo II del Belgio, che aveva fatto di quelle terre la sua fattoria personale. Chi ricorda questa crudeltà? E soffriamo perché questi milioni di uomini e donne neri non erano anche suoi figli e figlie, nati nell’amore di Dio? Perché non li ha aiutati quando avrebbe potuto, e perché non l’ha fatto?

La teologia non possiede alcuna risposta, mantiene un silenzio sofferente ma non può, come Giobbe, smettere di interrogare Dio, proclamato nei canti liturgici e nelle Comunità Ecclesiali di Base come il Signore della storia, buono e misericordioso. Quando la fede tace, rimangono solo le grida di speranza che giungono sotto forma di lamenti, come sono pieni i salmi stessi, e persino Cristo sulla croce gridò: “Elì, Elì, lama sabactàni“: Dio mio, perché mi hai abbandonato? Rassegnato, rese il suo spirito a Dio, rendendolo un mistero nascosto.

Ma non è solo un problema teologico, è anche una indagine filosofica. Chi è, in ultima analisi, l’essere umano e come può essere così disumano e spietato verso i suoi simili? Per secoli e secoli, da quando abbiamo conoscenza dei tempi immemorabili, Caino è sempre stato presente nello svolgersi della storia. Il male è diventato banale e incorporato nelle società umane. Come ha osservato la filosofa Hannah Arendt: “il male può essere banale, ma mai innocente”. È il frutto di un’intenzione perversa che odia, vuole strangolare e uccidere l’altro, sia nella vita familiare, sociale e nelle guerre che sono sempre esistite nel corso della storia. Tutte le religioni, i percorsi spirituali ed etici cercano di limitare l’entità del male umano. Ma esso persiste sempre.

Si dice che appartenga alla condizione umana il fatto di essere intelligenti e contemporaneamente dementi, posseduti dalla pulsione di morte insieme con la pulsione di vita, esseri di luce accompagnati dall’ombra, il satana della Terra e anche il suo angelo custode. È vero, siamo tutto questo. Ma queste verifiche descrivono fenomenologicamente un dato innegabile, ma non lo spiegano. Perché deve essere così? Non potrebbe essere differente?

Qui sentiamo i limiti della ragione, che non può tutto. Una certa comprensione del male non deriva dalla ragione teorica, come spiegato sopra, ma dalla ragione pratica. Ciò significa: il male non esiste per essere compreso, ma per essere combattuto. Combattendolo, una certa comprensione ci giunge, perché l’essere umano impara a porre limiti al suo male, rafforzando il più possibile la dimensione della luce e bontà. Pepe Mujica, ex presidente dell’Uruguay, ci ha lasciato un messaggio ispiratore: “sono stato sconfitto, calpestato, torturato e lasciato quasi morto. Ma mi sono sempre rialzato e mai ho desistito al mio sogno di lottare per un mondo migliore per tutti”. Forse questa è il cammino giusto di fronte alla sfida della crudeltà umana. Non fu diverso il cammino di Gesù di Nazareth, che fu giudizialmente assassinato a causa dell’utopia di un regno di giustizia, di fratellanza, di pace e di accoglienza di Dio.

Seguendo il cammino di questi maestri spirituali presenti in tutte le culture, continuiamo a credere che la vita valga più del profitto e della politica elettorale, e che debba essere sempre rispettata come il valore più grande del mondo.

Leonardo Boff è teologo, filosofo e scrittore. Ha scritto A busca da justa medida (2 vol.), Vozes 2023; Paixão de Cristo-paixão do mundo, Vozes 1977 premiato come il libro religioso dell’anno negli Stati Uniti d’America.

Die Wurzeln aus unserer eigenen Quelle bewässern

LeonardoBoff  

Es lässt sich nicht leugnen, dass wir uns im Zentrum einer gewaltigen globalen Krise befinden. Niemand weiß, wohin wir steuern. Es ist ratsam, Historiker zu konsultieren, die in der Regel eine ganzheitliche Sicht und ein feines Gespür für die großen Trends der Geschichte besitzen. Ich zitiere einen meiner inspirierendsten Autoren: Eric Hobsbawn in seinem bekannten Übersichtswerk „The Age of Extremes“ (1994). Am Ende seiner Überlegungen kommt er zu folgendem Schluss:

Die Zukunft kann keine Fortsetzung der Vergangenheit sein … Unsere Welt ist von Explosion und Implosion bedroht … Wir wissen nicht, wohin wir gehen. Eines ist jedoch klar: Wenn die Menschheit eine lebenswerte Zukunft will, kann sie dies nicht durch die Verlängerung der Vergangenheit oder der Gegenwart erreichen. Wenn wir versuchen, das dritte Jahrtausend auf diesem Fundament aufzubauen, werden wir scheitern. Und der Preis des Scheiterns, d. h. die Alternative zum gesellschaftlichen Wandel, ist Dunkelheit.“ (S. 562) Dunkelheit könnte das Ende der Spezies Homo bedeuten. Max Weber sagte etwas Ähnliches in seiner letzten öffentlichen Konferenz, in der er (endlich!) den Kapitalismus als in ein „Stahlhartes Gehäuse“ eingeschlossen bezeichnete, das er selbst nicht durchbrechen kann. Daher kann es uns in eine große Katastrophe führen: „Was uns erwartet, ist nicht die Blüte des Herbstes, sondern eine Polarnacht, eisig, dunkel und mühsam“ (Vgl. M. Löwy, La jaula de hierro: Max Weber y el marxismo weberiano, Mexiko 2017). Und schließlich warnt Papst Franziskus selbst in der Enzyklika Fratelli tutti (2020): „Wir sitzen im selben Boot, entweder werden wir alle gerettet oder niemand wird gerettet“ (Nr. 32).


Im ökologischen Bereich und unter namhaften Analysten der globalen Geopolitik ist die Überzeugung weit verbreitet: Im kapitalistischen System, das das unbegrenzte (ungerechtfertigte) Streben nach finanziellem Profit in den Vordergrund stellt und zwei Ungerechtigkeiten schafft – eine soziale (die unermessliche Armut verursacht) und eine ökologische (die Zerstörung der Ökosysteme), gibt es keine Lösung für die aktuelle Krise. Einstein wird der Satz zugeschrieben: „Das Denken, das die Krise verursacht hat, kann nicht dasselbe sein, das uns aus ihr herausführen wird; wir müssen uns ändern.“

Da die vielversprechenden Zukunftsvisionen der Vergangenheit über die Zukunft der Menschheit gescheitert sind, können sie uns keine neuen Wege aufzeigen, außer vielleicht den planetarischen Ökosozialismus, der nichts mit dem einst existierenden und gescheiterten Sozialismus zu tun hat. Oder die Rückkehr zur Lebensweise der Ureinwohner, deren überliefertes Wissen oder das „bien vivir y convivir” der Andenbewohner uns noch eine Zukunft auf diesem Planeten sichern würden. Aber es scheint mir, dass wir uns so sehr in unserer systemischen Blase verstrickt haben, dass dieser Vorschlag, so reizvoll er auch sein mag,  global gesehen undurchführbar ist.

Wenn wir am Ende der gangbaren Wege angelangt sind und nur noch den Horizont vor Augen haben, scheint es mir, dass uns nur noch bleibt, uns für uns selbst zu entscheiden und noch nicht ausprobierte Möglichkeiten zu erkunden. Wir sind von Natur aus ein unendliches Projekt und ein Knotenpunkt  von Beziehungen in alle Richtungen. Wir müssen in uns selbst eintauchen und unsere  Wurzeln in der Quelle tränken, die immer in uns in Form von unerschütterlicher Hoffnung, großen Träumen,  realisierbaren Mythen und innovativen Projekten für einen anderen Weg vor uns sprudelt.

Wenn ich den Menschen als strukturierende Referenz nehme, denke ich nicht an eine Anthropologie der Anthropologen und Anthropologinnen oder an die immer bereichernden Wissenszweige über den Menschen. Ich denke an den Menschen in seiner unergründlichen Radikalität, die sich um den Bereich des Geheimnisses rankt, das sich, je näher wir ihm kommen, umso weiter entfernt und tiefer präsentiert. Und es bleibt ein Geheimnis in jedem Wissen. Das war die Erkenntnis, die der Heilige Augustinus über sich selbst gewann: factum sum mysterium mihi: „Ich bin mir selbst ein Geheimnis geworden”. Dieses Geheimnis ist Ausdruck eines größeren Geheimnisses, nämlich des Universums selbst, das sich noch in der Entstehung und Expansion befindet. Daher ist der Mensch als Geheimnis niemals von diesem Prozess, dessen Teil er ist, getrennt, was über eine rein individualistische Sichtweise des Menschen hinausgeht. Es ist wichtig, niemals zu vergessen, dass er ein Wesen mit unbegrenzten Beziehungen ist, sogar mit dem Unendlichen. Lassen Sie uns einige Daten aufzählen, die zu unserem Wesen gehören und auf deren Grundlage wir neue Zukunftsvisionen entwickeln können.

Zunächst ist es wichtig, den Menschen als intreligente und gefülvole Erde zu verstehen, die in einem Moment ihrer Komplexität zu fühlen, zu denken, zu lieben, zu pflegen und zu verehren begann. So brach der Mensch, Mann und Frau, in den kosmogenischen Prozess ein. Nicht ohne Grund wird er Homo oder Adam genannt, was beides bedeutet: „aus Erde gemacht“ oder fruchtbares, bebaubares Land.

Im Mittelpunkt des menschlichen Wesens steht die Liebe, die, wie F. Maturana und J. Watson gezeigt haben, seine biologische Grundlage bildet. Watson sagt in seinem berühmten Buch DNA: The Secret of Human Life (2005): „Liebe lässt uns füreinander sorgen; es ist die Liebe, die unser Überleben und unseren Erfolg auf diesem Planeten ermöglicht hat; dieser Impuls, so glaube ich, wird unsere Zukunft sichern; ich bin sicher, dass die Liebe in unserer DNA verankert ist“ (S. 414). Es wird keine menschliche Transformation oder Revolution geben, die nicht von Liebe durchdrungen ist.

Zusammen mit der Liebe entsteht die Fürsorge, die seit langem als Wesen des Menschen verstanden wird. Da sie kein spezielles Organ hat, ist es die Fürsorge für sich selbst, für andere und für die  Natur, die uns das Leben sichert.

Es war die Solidarität/Kooperation des gemeinsamen Essens, die uns einst den Sprung vom Tierischen zum Menschlichen ermöglichte. Was gestern wahr war, ist auch heute noch wahr und wesentlich, wenn auch rar. Als relationales Wesen sind Solidarität und Kooperation die Grundlage jeglichen Zusammenlebens.

Neben der Intelligenz des neokortikalen Gehirns gibt es die Emotionen des limbischen Gehirns, das vor Millionen von Jahren entstand und der Sitz von Liebe, Empathie, Mitgefühl, Ethik und der gesamten Welt der Exzellenz ist. Wir sind fühlende Wesen. Ohne eine emotionale Bindung zwischen uns Menschen und der Natur verfällt und verkümmert alles.

Tief in uns lebt die natürliche Spiritualität, wie die new science behauptet,die ebenso anerkannt wird wie Intelligenz und Emotionen. Sie ist älter als jede Religion, denn sie ist die Quelle, aus der alle schöpfen, jeder auf seine Weise. Spiritualität ist unser Wesen und drückt sich in bedingungsloser Liebe, Solidarität, Transparenz und allem aus, was uns menschlicher, beziehungsfähiger und offener macht.

Spiritualität lässt uns begreifen, dass unter allen Lebewesen eine kraftvolle und liebevolle Energie existiert, die Kosmologen den Abgrund nennen und die alles Existierende hervorbringt und erhält. Der Mensch kann sich dieser tiefen Energie öffnen, mit ihr kommunizieren und Staunen und Ehrfurcht vor der Erhabenheit des Universums und seines Schöpfers empfinden.

Realistisch betrachtet gehen mit solchen Werten auch ihre Gegensätze einher – wir sind Sapiens und Demens –, die nicht unterdrückt werden können, sondern in Grenzen gehalten werden müssen. Indem wir unsere Wurzeln in dieser ursprünglichen Quelle nähren, können wir eine andere Zukunft gestalten können in der Liebe, Solidarität und BienVivir die Grundlage bilden.

Leonardo Boff Ökotheologe. Philosof un Schriststeller.

Übersetzung: Bettina Gold-Hartnack

¿Hay límites para la crueldad humana?

Leonardo Boff*

La masacre policial del día 28 de octubre en el Complejo del Alemán y de la Peña en Río de Janeiro constituye un crimen de agentes del Estado, con una gran letalidad, 121 víctimas. Es terrible que el 57% de la población haya aprobado la carnicería en la cual se cortaron cuerpos, se desmembraron y mutilaron cuerpos. Claudio Castro, gobernador de Río, que orquestó la masacre, fue ovacionado en los barrios ricos de la zona sur de Río. La estadística de su aceptación creció considerablemente.

Notables analistas como Paulo Sérgio Pinheiro que fue exministro de los Derechos Humanos y relator especial de la ONU para los crímenes en Siria nos ofrece el sentido real: “La masacre de Río debe entenderse dentro un contexto político más amplio, articulado por Castro y otros gobernadores de extrema derecha. Tras la condena y prisión de su líder máximo y de sus aliados, esos actores políticos buscan utilizar el discurso de la guerra contra el tráfico de drogas para desestabilizar al Estado federal y mejorar sus perspectivas en las próximas elecciones. Además, tratan de alinearse con la narrativa continental de combate al narcotráfico, liderada actualmente por el presidente Trump”.

Seguramente esta manipulación político-electoral de la peor especie, revela la completa erosión de la ética y el vacío de cualquier sentimiento de empatía hacia las víctimas, muchas de ellas inocentes que no tenían nada que ver con el tráfico de drogas. Es la necropolítica hecha modelo, ya que pobres, negros, quilombolas y favelados no cuentan para nada, cómo piensan y dicen. Son ceros económicos y descartables.

Pero esta barbarie de contenido criminal y político remite a una cuestión metafísica e incluso también teológica que lanza un desafío terrible: ¿cómo puede ser tan cruel y malvado el ser humano? ¿Hasta dónde puede llegar su inhumanidad? Ante los genocidios actuales en Gaza, en Ucrania, en Sudan, como teólogo, otros y yo nos interrogamos horrorizados:

“¿Dónde estaba Dios en aquellas circunstancias terribles? ¿Por qué permitió el triunfo de la barbarie? ¿Por qué guardó silencio? ¿Por qué permitió que en un siglo y medio desde el comienzo de la colonización/invasión europea, según las investigaciones más recientes, hubiera 61 millones de víctimas de personas de los pueblos originarios del continente Abya Yala? Y el asesinato de 10 millones de congoleses que el insensato rey Leopoldo II de Bélgica, que hizo de aquellas tierras su hacienda personal, ordenó a finales del siglo XIX y comienzos de XX, 10 millones de personas, niños mutilados sin manos y sin piernas. ¿Quién se acuerda de esa crueldad? Y sufrimos porque esos millones de negros y negras ¿no eran también hijas e hijos suyos, nacidos en el amor de Dios? ¿Por qué no los ayudó ya que podía, por qué no lo hizo?

La teología no tiene ninguna respuesta, guarda un silencio sufrido pero no consigue, como Job, dejar de interrogar a Dios, proclamado en los cantos litúrgicos y en las CEBs como el Señor de la historia, bueno y misericordioso. Cuando la fe enmudece sólo nos quedan los gritos de esperanza que vienen en forma de quejas, como los propios salmos están llenos, e incluso Cristo en la cruz gritó: “Eli, Eli lemá sabactáni”: Dios mío, Dios mío ¿por qué me has abandonado? Resignado, entregó su espíritu a Dios, hecho misterio oculto.

Pero no es solo un problema teológico, es también una indagación filosófica. ¿Quién es, finalmente, el ser humano y cómo puede ser tan inhumano y sin piedad frente a sus semejantes? Durante siglos y siglos, desde que tenemos noticia de tiempos inmemoriales, Caín siempre ha estado presente en el devenir de la historia. La maldad se ha vuelto banal y ha sido incorporada en las sociedades humanas. Como señalaba la filósofa Hannah Arendt: “el mal puede ser banal pero nunca inocente”. Es fruto de una intención perversa que odia, quiere estrangular y asesinar al otro, sea en la convivencia familiar, social, y en las guerras que siempre han existido en la historia. Todas las religiones, caminos espirituales y éticos buscan limitar la extensión de la maldad humana. Pero siempre persiste.

Se dice que es propio de la condition humaine el hecho de que seamos seres de inteligencia y simultáneamente de demencia, poseídos por la pulsión de muerte junto con la pulsión de vida, seres de luz acompañada de sombra, el satán de la Tierra y también su ángel de la guarda. Es verdad, somos todo eso. Pero estas verificaciones describen fenomenológicamente un dato innegable, aunque no lo explican. ¿Por qué tiene que ser así? ¿No podía ser diferente?

Aquí sentimos los límites de la razón que no puede todo. Alguna comprensión de la maldad no viene por la razón teórica, expuesta más arriba, sino por la razón práctica. Esto significa: el mal está ahí no para ser entendido sino para ser combatido. Combatiéndolo nos viene alguna comprensión, pues el ser humano aprende a imponer límites a su maldad reforzando todo lo que puede la dimensión de luz y de bondad. Pepe Mujica, expresidente de Uruguay nos legó un inspirador mensaje: “fui derrotado, pisado, torturado y casi muerto. Pero siempre me levanté y nunca desistí de mi sueño, de luchar por un mundo mejor para todos”. Tal vez ese es el camino correcto frente al desafío de la crueldad humana. No fue otro el camino de Jesús de Nazaret que fue judicialmente asesinado por causa de su utopía de un reino de justicia, de hermandad, de paz y de acogida de Dios. 

Siguiendo el camino de estos maestros espirituales, que los hay en todas las culturas, seguimos creyendo que la vida vale más que el lucro y la política electoral, y que debe ser siempre respetada como el mayor valor del mundo.


*Leonardo Boff es teólogo, filósofo y escritor. Ha escrito La búsqueda de la justa medida (2 vol.), Vozes 2023; Pasión de Cristo-pasión del mundo,Vozes 1977, premiado como el libro religioso del año en USA.

Traducción de MªJosé Gavito Milano

COP30: ¿Adaptación o Prevención?

Michael Löwy

Michael Löwy es director de investigación en sociología en el Centre Nationale de la Recherche Scientifique (CNRS). Brasilero de origen francés que vive en París, es un gran amigo de Brasil y participa activamente en nuestra realidad político-social. De origen hebreo, es un serio estudioso de la sociología de la religión, de lo mejor de Marx y de Max Weber, y ha dedicado parte de su obra al estudio de la teología de la liberación. Mantengo con él un fructífero diálogo, casi semanal. Me mandó este artículo en francés y ahora aparece publicado en A Terra é Redonda, 26-10-2025. Este artículo es clarificador y al mismo tiempo una alerta acerca de eventuales amenazas para el futuro de la humanidad, pero da espacio para una esperanza que nace de abajo. LBoff

El futuro no será conquistado por la resignación a adaptarse al colapso, sino por el valor de prevenir sus causas.

1.

Como sabemos, la COP30, la Conferencia de las Naciones Unidas sobre el Cambio Climático, se celebrará este año en noviembre, en Belém do Pará, Brasil.

Ella despierta esperanza, ya que tendrá lugar en un país gobernado por la izquierda, bajo la dirección del presidente Lula. Pero hay que constatar que el mayor contaminante del planeta, Estados Unidos, estará ausente, ya que Donald Trump –negacionista fanático del cambio climático– ha retirado a su país de esta instancia internacional.

Lamentablemente, una reciente decisión de las autoridades brasileras lanza una sombra sobre esta reunión: la autorización para explotar el petróleo localizado en el fondo del mar, cerca de la desembocadura del Amazonas. Los ecologistas brasileros denuncian esa decisión, que representa un peligro enorme —en caso de accidente en las perforaciones marítimas— de una “ola negra” que destruya los frágiles ecosistemas de la selva amazónica.

Además de eso, si las enormes cantidades de petróleo depositadas en el fondo del mar en esa región fueran extraídas, comercializadas y quemadas, eso sería una contribución decisiva para el cambio climático.

En estas condiciones, ¿qué se puede esperar de esta COP30? Hay que decir que el balance de las 29 anteriores no es glorioso: es verdad que se aprobaron algunas resoluciones pero… nunca fueron puestas en práctica. Las emisiones nunca han dejado de crecer, la acumulación de gases de efecto invernadero ha alcanzado proporciones sin precedentes y el límite peligroso de 1,5°C (por encima de la era pre-industrial) ya ha sido alcanzado.

¿Cuáles son las ambiciones de los organizadores de la nueva COP? Podemos tener una idea al leer una entrevista reciente a André Corrêa do Lago, nombrado por Lula para presidir la COP30. Diplomático con larga experiencia en desarrollo sostenible, fue Secretario de Clima, Energía y Desarrollo del Ministerio de Relaciones Exteriores de Brasil. En esa entrevista Corrêa do Lago declara: “Me gustaría que las personas recordasen la COP30 como una COP de adaptación”.

2.

¿Qué significa esto? Ciertamente, la adaptación a las  consecuencias del cambio climático –incendios forestales, tornados, inundaciones catastróficas, temperaturas insoportables, sequías, desertificación, falta de agua dulce, aumento del nivel del mar, etc. (la lista es inmensa)– es necesaria, especialmente en los países del Sur, primeras víctimas de esos daños.

Pero dar prioridad a la “adaptación” en vez de a la “prevención” es una forma indirecta de resignarse a la inevitabilidad del cambio climático. Es un discurso que se oye cada vez más entre los gobernantes de diferentes países del mundo.

La lógica de ese argumento es simple: como es imposible prescindir de los combustibles fósiles, del transporte globalizado de mercancías, de la agricultura industrial y de otras múltiples actividades económicas responsables del cambio climático, pero necesarias para el buen funcionamiento de la economía capitalista, no nos queda otra posibilidad que adaptarnos.

Si bien en un primer momento la adaptación todavía es posible, a partir de un cierto aumento de la temperatura –¿dos grados? ¿tres grados? nadie puede decirlo– se volverá imposible. ¿Cómo adaptarse si la temperatura sobrepasa los 50 grados? ¿Si el agua potable se vuelve un bien escaso? Podemos multiplicar los ejemplos.

No nos queda mucho tiempo para impedir una catástrofe que pondría en peligro la supervivencia humana en este planeta. Y, al contrario de lo que piensan habitantes de Marte como Elon Musk, no existe un planeta B. Si la COP30 privilegia la adaptación en detrimento de la prevención, quedará en la memoria de las personas como la COP de la capitulación.

Afortunadamente, al mismo tiempo que la COP  se reunirá en Belém do Pará una Cúpula de los Pueblos, en la que participarán movimientos ecologistas, campesinos, indígenas, feministas, ecosocialistas y otros, que discutirán las verdaderas soluciones para la crisis ecológica y tomarán las calles de Belém do Pará para protestar contra la inercia de los gobiernos y afirmar la necesidad de romper con el sistema. Son sembradores de futuro, que rechazan la resignación y el conformismo.