Cos’è e cosa non è l’Amazzonia

Leonardo Boff

Alla COP 30 di Belém, l’Amazzonia ha acquisito centralità per la sua importanza nell’equilibrio climatico e nel rallentamento dell’aumento del riscaldamento globale. Sono state espresse opinioni di ogni tipo sull’Amazzonia. Vediamo cos’è e cosa non è.

Prima di qualsiasi considerazione, vale la pena di dire che l’Amazzonia ospita il più grande patrimonio idrico e genetico del Pianeta. Da uno dei nostri migliori studiosi, Enéas Salati, sappiamo: “In pochi ettari di foresta amazzonica esiste un numero di specie di piante e insetti maggiore di quello di tutta la flora e la fauna d’Europa”. Ma questa lussureggiante foresta è estremamente fragile, poiché sorge su uno dei terreni più poveri e dilavati della Terra. Se non controlliamo la deforestazione, nel giro di pochi anni, l’Amazzonia potrebbe trasformarsi in un’immensa savana. È su questo che il grande esperto in materia, Carlos Nobre, ci mette continuamente in guardia.

Essa non è una terra vergine e intoccabile. Decine di popolazioni indigene che lì hanno vissuto e vivono ancora, si sono comportate da veri e propri ecologisti. Gran parte dell’intera foresta pluviale amazzonica, in particolare la pianura alluvionale, è stata gestita da popolazioni indigene, promovendo “isole di risorse”, creando condizioni favorevoli allo sviluppo di specie vegetali utili come il babaçu, la palma, il bambù, gli alberi di noci brasiliane e frutti di ogni tipo, piantati o curati per sé stessi e per chi passava di là. La famosa “terra nera degli indios” si riferisce a questa gestione.

L’idea che l’indio sia autenticamente naturale rappresenta un’ecologizzazione errata della sua natura, un prodotto dell’immaginario urbano, affaticato dall’artificializzazione della vita. Egli è un essere culturale. Come attesta l’antropologo Viveiros de Castro: “L’Amazzonia che vediamo oggi è il risultato di secoli di intervento sociale, così come le società che la abitano sono il risultato di secoli di convivenza con l’Amazzonia“. Lo stesso dice nel suo istruttivo libro E.E. Moraes “Quando o Amazonas sfociava nel Pacifico” (Vozes 2007): “In Amazzonia rimane poca natura incontaminata e inalterata dagli umani“. Per 1.100 anni i Tupi-Guarani hanno dominato un vasto territorio che si estendeva dalle pendici andine del Rio delle Amazzoni ai bacini dei fiumi Paraguay e Paraná.

Tra gli indigeni e la foresta, le relazioni non sono naturali ma culturali, in un’intricata tela di reciprocità. Loro sentono e vedono la natura come parte della loro società e cultura, come un’estensione del loro corpo personale e sociale. Per loro la natura è un soggetto vivo, pieno di intenzionalità. Non è, come per noi moderni, qualcosa di oggettivato, muto e senza spirito. La natura parla e l’indigeno ne comprende la voce e il messaggio. Per questo motivo è sempre in ascolto della natura e si adatta ad essa in un complesso gioco di inter-retro-relazioni. Hanno trovato un sottile equilibrio socio-ecologico e un’integrazione dinamica, nonostante ci fossero anche guerre e veri e propri stermini come quelli del popolo sambaqui e di altre tribù.

Ma ci sono sagge lezioni che dobbiamo imparare da loro di fronte alle attuali minacce ambientali. È importante comprendere la Terra, non come qualcosa di inerte, con risorse illimitate che sopporta il progetto capitalista di una crescita illimitata. Essa è limitata nei suoi beni e servizi naturali. In quanto essere vivente, la Madre dell’indio deve essere rispettata nella sua integrità. Se un albero viene abbattuto, viene eseguito un rituale di scuse per salvare l’alleanza di fratellanza e appartenenza reciproca.

Abbiamo bisogno di una relazione sinfonica con la comunità della vita, perché, come è stato dimostrato, Gaia ha già superato il suo limite di sopportabilità. Abbiamo bisogno di più di una Terra e mezza per soddisfare il consumo umano e il consumismo malsano delle classi opulente.

Tuttavia, dobbiamo sfatare due miti. Il primo è: l’Amazzonia come polmone del mondo. Gli esperti affermano che la foresta pluviale amazzonica è in uno stato di massimo sviluppo. Vale a dire, si trova in uno stato di vita ottimale, in un equilibrio dinamico in cui tutto viene utilizzato e quindi tutto è bilanciato. Pertanto, l’energia fissata dalle piante attraverso le interazioni della catena alimentare viene pienamente utilizzata. L’ossigeno rilasciato durante il giorno dalla fotosintesi nelle foglie viene consumato dalle piante stesse di notte e dagli altri organismi viventi. Ecco perché l’Amazzonia non è il polmone del mondo.

Ma essa agisce come un grande filtro per l’anidride carbonica. Nel processo di fotosintesi, viene assorbita una grande quantità di carbonio. Ora, il carbonio è la causa principale dell’effetto serra che riscalda la Terra. Se l’Amazzonia venisse mai completamente disboscata, circa 50 miliardi di tonnellate di carbonio all’anno verrebbero rilasciate nell’atmosfera. Ci sarebbe una moria di massa di organismi viventi.

Il secondo mito: l’Amazzonia come granaio del mondo. Questo è ciò che pensavano i primi esploratori come von Humboldt e Bonpland, e i pianificatori brasiliani durante il regime militare (1964-1983). Non è vero. La ricerca ha dimostrato che “la foresta vive di sé stessa” e in gran parte “per sé stessa” (cfr. Baum, V., Das Ökosystem der tropischen Regeswälder, 1986, 39). È lussureggiante, ma in un terreno povero di humus. Sembra un paradosso. Lo ha chiarito bene il grande esperto amazzonico Harald Sioli: “la foresta, di fatto, cresce sul suolo e non dal suolo” (A Amazônia, Vozes 1985, pag.60). E lo spiega: il suolo è solo il supporto fisico di un’intricata rete di radici. Le piante si intrecciano con le loro radici e si sostengono mutuamente alla base. Si forma un’immensa, equilibrata e ritmica oscillazione. L’intera foresta si muove e danza. Per questo motivo, quando una pianta viene abbattuta, ne trascina con sé molte altre.

La foresta conserva il suo carattere lussureggiante perché esiste una catena chiusa di nutrienti. Non è il suolo che nutre gli alberi. Sono gli alberi che nutrono il suolo. L’acqua delle foglie e dei tronchi lava via gli escrementi degli animali arboricoli e di specie più grandi, così come la miriade di insetti che hanno il loro habitat tra le cime degli alberi. Attraverso le radici, la sostanza nutritiva arriva alle piante, garantendo l’estasiante esuberanza dell’Hylea amazzonica. Si tratta di un sistema chiuso, con un equilibrio complesso e fragile. Ogni piccola deviazione può avere conseguenze disastrose.

L’humus, di solito, non supera i 30-40 centimetri di spessore. Con le piogge torrenziali, viene trascinato via. In breve tempo, emerge la sabbia. L’Amazzonia senza la foresta può trasformarsi in un’immensa savana. Ecco perché l’Amazzonia non potrà mai essere il granaio del mondo. Ma continuerà a essere il tempio della più grande biodiversità.

Concludo con la testimonianza di Euclides da Cunha, uno scrittore classico della letteratura brasiliana e uno dei primi analisti della realtà amazzonica all’inizio del XX secolo, che commentò: “L’intelligenza umana non potrebbe sopportare il peso della prodigiosa realtà dell’Amazzonia. Dovrà crescere con essa, adattandosi ad essa, per poterla dominare” (Um paraiso perdido, Vozes 1976, pag.15). Chico Mendes, martire della lotta ecologica in Amazzonia e tipico rappresentante dei popoli della foresta, vide con estrema chiarezza la necessità dell’essere umano di crescere con la foresta, sostenendo che solo una tecnologia che si sottometta ai ritmi dell’Amazzonia e uno sviluppo guidato dall’estrazione della sua incommensurabile ricchezza forestale, preserveranno questo patrimonio ecologico dell’umanità. Tutto il resto è inadeguato e minaccioso.

Leonardo Boff ha scritto “Todos os pecados capitais antiecológicos:a Amazônia” in “Ecologia: grito da Terra, grito dos pobres”, Vozes 1995.135-181. (Traduzione dal portoghese di Gianni Alioti)

O que a Amazônia é e não é

Leonardo Boff

         Na COP 30 de Belém a Amazônia ganhou centralidade pela importância que possui para equilibrar os climas e desacelerar o aumento do aquecimento global.Sobre a Amazônia se emitiu todo todo tipo de opinião.Vejamos o que ela é e não é.

Antes de qualquer consideração, cabe dizer que a Amazônia abriga o maior patrimônio hídrico e genético do Planeta. De um de nossos melhores estudiosos, Enéas Salati, sabemos:”Em poucos hectares da floresta amazônica existe um número de espécies de plantas e de insetos maior que em toda a flora e fauna da Europa”. Mas esta floresta luxuriante é extremamente frágil, pois se ergue sobre um dos solos mais pobres e lixiviados da Terra. Se não controlarmos o desmatamento, em poucos anos, a Amazônia pode se transformar numa imensa savana. É o que o grande especialista no tema, Carlos Nobre, continuamente nos adverte.

Ela não é terra virgem e intocável. Dezenas de povos indígenas que ali viveram e vivem, atuaram como verdadeiros ecologistas. Grande parte de toda floresta amazônica, especialmente de várzea, foi manejada pelos indígenas, promovendo “ilhas de recursos”, criando condições favoráveis para o desenvolvimento de espécies vegetais úteis como o babaçu, a palmeira, o bambu, os bosques de castanheiras e frutas de toda espécie, plantadas ou cuidadas para si e para aqueles que, por ventura, por lá passassem. As famosas “terras pretas de índios” remetem para esse manejo.

A ideia de que o índio é genuinamente natural, representa uma ecologização errônea dele, fruto do imaginário urbano, fatigado pela  artificialização da vida. Ele é um ser cultural. Como atesta o antropólogo Viveiros de Castro:”A Amazônia que vemos hoje é a que resultou de séculos de intervenção social, assim como as sociedades que ali vivem são resultado de séculos de convivência com a Amazônia”. O mesmo diz em seu instrutivo livro E.E.Moraes “Quando o Amazonas corria para o Pacífico” (Vozes 2007): “Resta pouca natureza intocada e não alterada pelos humanos na Amazônia”. Por 1.100 anos os tupi-guarani dominaram vastíssimo território que ia dos contrafortes andinos do rio Amazonas até as bacias do Paraguai e do Paraná.

Entre o índio e a floresta, as relações não são naturais mas culturais, numa teia intrincada de reciprocidades. Eles sentem e veem a natureza como parte de sua sociedade e cultura, como prolongamento de seu corpo pessoal e social. Para eles a natureza é um sujeito vivo e carregado de intencionalidades. Não é como para nós modernos, algo objetal, mudo e sem espírito. A natureza fala e o indígena entende sua voz e mensagem. Por isso ele está sempre auscultando a natureza e se adequando a ela num jogo complexo de inter-retro-relações. Encontraram um sutil equilíbrio sócioecológico e uma integração dinâmica, embora houvesse também guerras e verdadeiros extermínios como aqueles dos sambaquieiros e de outras tribos.

         Mas há sábias lições que precisamos aprender deles face às atuais ameaças ambientais. Importa entender a Terra, não como algo inerte, com recursos ilimitados que suporta o projeto capitalista de um crescimento ilimitado.Ela é limitada em seus bens e serviços naturais. Como algo vivo, a Mãe do índio deve ser respeitada em sua integridade. Se uma árvore é derrubada, faz-se um rito de desculpa para resgatar a aliança de irmandade e de mútua pertença.

Precisamos de uma relação sinfônica com a comunidade de vida, pois como foi comprovado, Gaia já ultrapassou seu limite de suportabilidade. Precisamos de mais de uma Terra e meia para atender o consumo humano e o consumismo doentio das classes opulentas.

Entretanto, devemos desfazer dois mitos. O primeiro é: a Amazônia como o pulmão do mundo. Os especialistas afirmam que a floresta amazônica se encontra num estado climax. Quer dizer, ela se encontra num estado ótimo de vida, num equilíbrio dinâmico no qual tudo é aproveitado e por isso tudo se equilibra. Assim a energia fixada pelas plantas mediante as interações da cadeia alimentar conhece um aproveitamento total. O oxigênio liberado de dia pela fotossíntese das folhas é consumido pelas próprias plantas de noite e pelos demais organismos vivos. Por isso a Amazônia não é o pulmão do mundo.

Mas ela funciona como um grande filtro do dióxido de carbono. No processo de fotossíntese grande quantidade de carbono é absorvido. Ora, o carbono é o principal causador do efeito estufa que aquece a Terra. Caso um dia a Amazônia fosse totalmente desmatada,seriam lançados na atmosfera cerca de 50 bilhões de toneladas de carbono por ano. Haveria uma mortandade em massa de organismos vivos.

O segundo mito: a Amazônia como o celeiro do mundo. Assim pensavam os primeiros exploradores como von Humbold e Bonpland e os planejadores brasileiros no tempo dos militares no poder (1964-1983). Não é. A pesquisa mostrou que “a floresta vive de si mesma” e   em grande parte. “para si mesma” (cf. Baum, V., Das Ökosystem der tropischen Regeswälder, 1986, 39). É luxuriante mas num solo pobre em húmus. Parece um paradoxo. Bem o esclareceu o grande especialista em Amazonas Harald Sioli:”a floresta, cresce, de fato, sobre o solo e não do solo” ( A Amazônia 1985, 60). E o explica: o solo é somente o suporte físico de uma trama intrincada de raízes. As plantas se entrelaçam pelas raízes e se suportam mutuamente pela base. Forma-se um imenso balanço equilibrado e ritmado. Toda floresta se move e dança. Por causa disso,quando uma é derrubada, carrega várias outras.

A floresta conserva seu caráter luxuriante porque existe uma cadeia fechada de nutrientes. Não é o solo que nutre as árvores. São as árvores que nutrem o solo. A água das folhas e dos troncos lavam e carregam os excrementos dos animais arborícolas e animais de espécies maiores,bem como a miríade de insetos que têm seu habitat na copa das árvores. Pelas raízes, a substância alimentar vai às plantas garantindo a exuberância extasiante da Hiléia amazônica. Trata-se de um sistema fechado, com um equilíbrio complexo e frágil. Qualquer pequeno desvio pode acarretar consequências desastrosas.

O húmus não atinge, comumente, mais que 30-40 centímetros de espessura. Com as chuvas torrenciais é carregado embora. Em pouco tempo aflora a areia. A Amazônia sem a floresta pode se transformar numa imensa savana. Por isso que a Amazônia jamais poderá ser o celeiro do mundo. Mas continuará a ser o templo da maior biodiversidade.

        Termino com o testemunho de Euclides da Cunha, escritor clássico das letras brasileiras e um dos primeiros analistas  da realidade amazônica no começo  século XX, comentou :” A inteligência humana não suportaria o peso da realidade portentosa da Amazônia. Terá de crescer com ela, adaptando-se-lhe, para dominá-la” (Um paraíso perdido:Vozes976,15).  Chico Mendes, mártir da luta ecológica na Amazônia e representante típico dos povos da floresta viu com extrema clarividência essa necessidade de o ser humano ter que crescer com a floresta    ao sustentar que  somente uma tecnologia que se submete aos ritmos da Amazônia e um desenvolvimento que se orienta pelo extrativismo da incomensurável riqueza florestal, preservam esse patrimônio ecológico da humanidade. Tudo o mais é inadequado e ameaçador.

Leonardo Boff escreveu “Todos os pecados capitais antiecológicos:a Amazônia” em “Ecologia:grito da Terra,grito dos pobres”Vozes 1995.135-181.

Por que parece que o tempo passa tão depressa?

Leonardo Boff

Quase todos fazemos a experiência de que tudo está passando depressa demais. Já estamos próximos do Natal, logo depois vêm as festas de fim de ano, o carnaval e assim outras datas. Esse sentimento é ilusório ou tem base real?

Há uma acirrada discussão entre os cientistas, especialmente físicos e climatólogos, que essa sensação não possui base científica. Estes geralmente se movem ainda dentro do velho  paradigma que não considera a interação de tudo com tudo, como o demonstrou a física quântica e foi assumida pela ecologia integral do Papa Francisco em sua encíclica:”Sobre o cuidado da Casa Comum”(2015) e  ecologia em geral.

Outro grupo pesquisadores, no entanto, que assumem o novo paradigma holístico, como os do HearthMath Institute acolhem a hipótese de que  o sol e a atividade geomagnética influenciam a vida humana e a de todos os seres vivos. É neste contexto que se coloca a influência da Ressonância Schumann para aclarar a sensação de que tudo passa tão rápido.

O físico alemão W.O. Schumann constatou em 1952 que a Terra é cercada por um campo eletromagnético poderoso que se forma entre o solo e a parte inferior da ionosfera, cerca de 60-100 km acima de nós .A Terra e a ionosfera agem como uma imensa “caixa” ressonante mais ou menos constante, da ordem de 7,83 pulsações herzt por segundo. Funciona como uma espécie de marca-passo, responsável pelo equilíbrio da biosfera, condição comum de todas as formas de vida. Verificou-se também que todos os vertebrados e o nosso cérebro são dotados da mesma frequência de 7,83 hertz.

Empiricamente fez-se a constatação de que não podemos ser saudáveis fora dessa frequência biológica natural. Sempre que os astronautas, em razão das viagens espaciais, ficavam fora da atividade eletromagnética terrestre e da Ressonância Schumann, sentiam-se enfraquecidos. Após a viagem espacial deviam repousar por algum tempo até recuperar seu equilíbrio. Mas submetidos à ação de um simulador Schumann recuperavam o equilíbrio e a saúde.

Por milhares de anos as batidas do coração da Terra tinham essa frequência de pulsações e a vida se desenrolava em relativo equilíbrio ecológico. Ocorre que a partir dos anos 80, e de forma mais acentuada a partir dos anos 90 até hoje, a frequência passou de 7,83 para  9,11,13 e mais hertz por segundo. O coração da Terra disparou.

Então muitos  pesquisadores entre as várias influências solares e eletromagnéticas que a Terra está constantemente submetida, incluíram também a Ressonância Schumann. Afirmam que está bem estabelecido que a dimensão celebral e cardiovascular e o sistema nervoso automático são afetados. Afirmam que não é de estranhar que coincidentemente ocorram desequilíbrios ecológicos e sociais: o aquecimento global da Terra, eventos extremos, com secas severas e grandes inundações pelo excesso de chuvas, maior atividade dos vulcões, crescimento de tensões e conflitos no mundo e aumento geral de comportamentos desviantes nas pessoas, entre outros. Devido à aceleração geral, a jornada de 24 horas, continua sendo de 24 horas,mas  na verdade, a percepção é como se fosse de somente de 16 horas. Portanto, a sensação de que tudo está passando rápido demais não é ilusória, mas teria base real nesse transtorno dos campos eletromagnéticos e da Ressonância Schumann.

Os dados do Painel Intergovernamental para as Mudanças Climática e assumidos pelas várias  COPs revelam que estão ocorrendo eventos extremos, o crescimento global do planeta, chegando neste ano a 1,7ºC quando se previa que até 2030  que chegaria a 1,5ºC.

Não podemos mais parar a roda, apenas desacerelá-la mediante um processo de precaução, prevenção, adaptação e de minoração dos efeitos nocivos. Haverá, se não mudarmos de rumo civilizatório, grandes dizimações de espécies e milhões de pessoas poderão correr risco de vida.

A Terra é Gaia, quer dizer, um super-organismo vivo que articula o físico, o químico,m o biológico e antropológica de tal forma que ela se torna benevolente para com a vida. Agora ela não consegue sozinha se autorregular. Temos que ajudá-la, mudando o padrão de intervenção na natureza, de produção e de consumo. Caso contrário, poderemos conhecer o destino dos dinossauros. Nós, seres humanos, somos aquela porção da Terra que sente, pensa, ama, cuida e venera. Temos o imperativo ético, bem expresso no livro do Gênesis (2,15) de guardar e cuidar da Casa Comum.

Esse imperativo deve começar por nós mesmos: fazer tudo sem estresse, com mais serenidade, com mais amor, que é uma energia cósmica e essencialmente harmonizadora. Cientistas desta área testemunham que as pessoas que se alinham à Ressonância Schumann normal (7,83 herzt) se mostram mais cordiais, cuidadosas e compassivas.

Precisamos respirar juntos com a Terra, para conspirar com ela pela paz que é o equilíbrio do movimento e  fruto da justa medida em todas as nossas atividades.

Leonardo Boff, ecoteólogo e Membro da Comissão Internacional da Carta da Terra.

Die Wurzeln aus unserer eigenen Quelle bewässern

LeonardoBoff  

Es lässt sich nicht leugnen, dass wir uns im Zentrum einer gewaltigen globalen Krise befinden. Niemand weiß, wohin wir steuern. Es ist ratsam, Historiker zu konsultieren, die in der Regel eine ganzheitliche Sicht und ein feines Gespür für die großen Trends der Geschichte besitzen. Ich zitiere einen meiner inspirierendsten Autoren: Eric Hobsbawn in seinem bekannten Übersichtswerk „The Age of Extremes“ (1994). Am Ende seiner Überlegungen kommt er zu folgendem Schluss:

Die Zukunft kann keine Fortsetzung der Vergangenheit sein … Unsere Welt ist von Explosion und Implosion bedroht … Wir wissen nicht, wohin wir gehen. Eines ist jedoch klar: Wenn die Menschheit eine lebenswerte Zukunft will, kann sie dies nicht durch die Verlängerung der Vergangenheit oder der Gegenwart erreichen. Wenn wir versuchen, das dritte Jahrtausend auf diesem Fundament aufzubauen, werden wir scheitern. Und der Preis des Scheiterns, d. h. die Alternative zum gesellschaftlichen Wandel, ist Dunkelheit.“ (S. 562) Dunkelheit könnte das Ende der Spezies Homo bedeuten. Max Weber sagte etwas Ähnliches in seiner letzten öffentlichen Konferenz, in der er (endlich!) den Kapitalismus als in ein „Stahlhartes Gehäuse“ eingeschlossen bezeichnete, das er selbst nicht durchbrechen kann. Daher kann es uns in eine große Katastrophe führen: „Was uns erwartet, ist nicht die Blüte des Herbstes, sondern eine Polarnacht, eisig, dunkel und mühsam“ (Vgl. M. Löwy, La jaula de hierro: Max Weber y el marxismo weberiano, Mexiko 2017). Und schließlich warnt Papst Franziskus selbst in der Enzyklika Fratelli tutti (2020): „Wir sitzen im selben Boot, entweder werden wir alle gerettet oder niemand wird gerettet“ (Nr. 32).


Im ökologischen Bereich und unter namhaften Analysten der globalen Geopolitik ist die Überzeugung weit verbreitet: Im kapitalistischen System, das das unbegrenzte (ungerechtfertigte) Streben nach finanziellem Profit in den Vordergrund stellt und zwei Ungerechtigkeiten schafft – eine soziale (die unermessliche Armut verursacht) und eine ökologische (die Zerstörung der Ökosysteme), gibt es keine Lösung für die aktuelle Krise. Einstein wird der Satz zugeschrieben: „Das Denken, das die Krise verursacht hat, kann nicht dasselbe sein, das uns aus ihr herausführen wird; wir müssen uns ändern.“

Da die vielversprechenden Zukunftsvisionen der Vergangenheit über die Zukunft der Menschheit gescheitert sind, können sie uns keine neuen Wege aufzeigen, außer vielleicht den planetarischen Ökosozialismus, der nichts mit dem einst existierenden und gescheiterten Sozialismus zu tun hat. Oder die Rückkehr zur Lebensweise der Ureinwohner, deren überliefertes Wissen oder das „bien vivir y convivir” der Andenbewohner uns noch eine Zukunft auf diesem Planeten sichern würden. Aber es scheint mir, dass wir uns so sehr in unserer systemischen Blase verstrickt haben, dass dieser Vorschlag, so reizvoll er auch sein mag,  global gesehen undurchführbar ist.

Wenn wir am Ende der gangbaren Wege angelangt sind und nur noch den Horizont vor Augen haben, scheint es mir, dass uns nur noch bleibt, uns für uns selbst zu entscheiden und noch nicht ausprobierte Möglichkeiten zu erkunden. Wir sind von Natur aus ein unendliches Projekt und ein Knotenpunkt  von Beziehungen in alle Richtungen. Wir müssen in uns selbst eintauchen und unsere  Wurzeln in der Quelle tränken, die immer in uns in Form von unerschütterlicher Hoffnung, großen Träumen,  realisierbaren Mythen und innovativen Projekten für einen anderen Weg vor uns sprudelt.

Wenn ich den Menschen als strukturierende Referenz nehme, denke ich nicht an eine Anthropologie der Anthropologen und Anthropologinnen oder an die immer bereichernden Wissenszweige über den Menschen. Ich denke an den Menschen in seiner unergründlichen Radikalität, die sich um den Bereich des Geheimnisses rankt, das sich, je näher wir ihm kommen, umso weiter entfernt und tiefer präsentiert. Und es bleibt ein Geheimnis in jedem Wissen. Das war die Erkenntnis, die der Heilige Augustinus über sich selbst gewann: factum sum mysterium mihi: „Ich bin mir selbst ein Geheimnis geworden”. Dieses Geheimnis ist Ausdruck eines größeren Geheimnisses, nämlich des Universums selbst, das sich noch in der Entstehung und Expansion befindet. Daher ist der Mensch als Geheimnis niemals von diesem Prozess, dessen Teil er ist, getrennt, was über eine rein individualistische Sichtweise des Menschen hinausgeht. Es ist wichtig, niemals zu vergessen, dass er ein Wesen mit unbegrenzten Beziehungen ist, sogar mit dem Unendlichen. Lassen Sie uns einige Daten aufzählen, die zu unserem Wesen gehören und auf deren Grundlage wir neue Zukunftsvisionen entwickeln können.

Zunächst ist es wichtig, den Menschen als intreligente und gefülvole Erde zu verstehen, die in einem Moment ihrer Komplexität zu fühlen, zu denken, zu lieben, zu pflegen und zu verehren begann. So brach der Mensch, Mann und Frau, in den kosmogenischen Prozess ein. Nicht ohne Grund wird er Homo oder Adam genannt, was beides bedeutet: „aus Erde gemacht“ oder fruchtbares, bebaubares Land.

Im Mittelpunkt des menschlichen Wesens steht die Liebe, die, wie F. Maturana und J. Watson gezeigt haben, seine biologische Grundlage bildet. Watson sagt in seinem berühmten Buch DNA: The Secret of Human Life (2005): „Liebe lässt uns füreinander sorgen; es ist die Liebe, die unser Überleben und unseren Erfolg auf diesem Planeten ermöglicht hat; dieser Impuls, so glaube ich, wird unsere Zukunft sichern; ich bin sicher, dass die Liebe in unserer DNA verankert ist“ (S. 414). Es wird keine menschliche Transformation oder Revolution geben, die nicht von Liebe durchdrungen ist.

Zusammen mit der Liebe entsteht die Fürsorge, die seit langem als Wesen des Menschen verstanden wird. Da sie kein spezielles Organ hat, ist es die Fürsorge für sich selbst, für andere und für die  Natur, die uns das Leben sichert.

Es war die Solidarität/Kooperation des gemeinsamen Essens, die uns einst den Sprung vom Tierischen zum Menschlichen ermöglichte. Was gestern wahr war, ist auch heute noch wahr und wesentlich, wenn auch rar. Als relationales Wesen sind Solidarität und Kooperation die Grundlage jeglichen Zusammenlebens.

Neben der Intelligenz des neokortikalen Gehirns gibt es die Emotionen des limbischen Gehirns, das vor Millionen von Jahren entstand und der Sitz von Liebe, Empathie, Mitgefühl, Ethik und der gesamten Welt der Exzellenz ist. Wir sind fühlende Wesen. Ohne eine emotionale Bindung zwischen uns Menschen und der Natur verfällt und verkümmert alles.

Tief in uns lebt die natürliche Spiritualität, wie die new science behauptet,die ebenso anerkannt wird wie Intelligenz und Emotionen. Sie ist älter als jede Religion, denn sie ist die Quelle, aus der alle schöpfen, jeder auf seine Weise. Spiritualität ist unser Wesen und drückt sich in bedingungsloser Liebe, Solidarität, Transparenz und allem aus, was uns menschlicher, beziehungsfähiger und offener macht.

Spiritualität lässt uns begreifen, dass unter allen Lebewesen eine kraftvolle und liebevolle Energie existiert, die Kosmologen den Abgrund nennen und die alles Existierende hervorbringt und erhält. Der Mensch kann sich dieser tiefen Energie öffnen, mit ihr kommunizieren und Staunen und Ehrfurcht vor der Erhabenheit des Universums und seines Schöpfers empfinden.

Realistisch betrachtet gehen mit solchen Werten auch ihre Gegensätze einher – wir sind Sapiens und Demens –, die nicht unterdrückt werden können, sondern in Grenzen gehalten werden müssen. Indem wir unsere Wurzeln in dieser ursprünglichen Quelle nähren, können wir eine andere Zukunft gestalten können in der Liebe, Solidarität und BienVivir die Grundlage bilden.

Leonardo Boff Ökotheologe. Philosof un Schriststeller.

Übersetzung: Bettina Gold-Hartnack