Pace e guerra sotto Trump

     Leonardo Boff*

Jamil Chade, giornalista brasiliano e internazionale, ha espresso molto bene il progetto geopolitico di Donald Trump: “Egli ha già chiarito: non si impegnerà nella diplomazia. Agirà con la forza, sia militare che economica e commerciale. La sua costruzione di un nuovo ordine non implica la pace. Ma piuttosto la capitolazione dell’avversario”. Gli accordi tariffari con quasi tutti i paesi sono più imposizioni sue che il frutto di una negoziazione. Questa si chiama capitolazione. È merito del governo brasiliano, riconosciuto da figure di spicco dell’economia e della politica mondiale, non essersi piegato, ma di aver respinto sovranamente l’imposizione di dazi del 50% sui nostri prodotti, per ragioni ingiustificabili. Trump è un militarista e un imperialista.

Pertanto, dobbiamo ricercare le cause nascoste dietro questo imperialismo e la negazione della diplomazia, con la minaccia di guerra e capitolazione. È la sua volontà di dominio, secondo il mantra “un mondo – un solo impero” (quello degli USA). È importante riconoscere che esiste un grave conflitto di interessi geopolitici, etnici ed economici, nonché l’esistenza di profonde disuguaglianze, soprattutto nel Sud globale, rispetto al Nord globale, che potrebbero minacciare l’impero costituito.

È essenziale identificare queste connessioni occulte, come condizione per comprendere la geopolitica di Trump e anche per raggiungere una pace vera e duratura. La risposta non è un’altra guerra. M una pace disarmata e disarmante, secondo l’attuale Papa. Questa pace disarmata utilizza mezzi politici, diplomatici e la partnership con altri governi che a loro volta vogliono la pace, con i movimenti sociali, con la mobilitazione delle religioni e chiese e il coinvolgimento con gruppi che praticono alternative.

Chico Mendes in Amazzonia era un sostenitore di questo tipo di pace disarmata. Ha mobilitato le popolazioni della foresta, i raccoglitori di caucciù e i popoli indigeni per contrastare gli avamposti della deforestazione, organizzando i famosi “empates” (sit-in di persone di ogni tipo – bambini, donne, anziani e lavoratori con i loro attrezzi di lavoro – che si schieravano davanti ai trattori che distruggevano la foresta).

Questo tipo di pace, che si oppone alla violenza, è allo stesso tempo una geopolitica con la sua strategia e tattica, ma anche uno spirito di pace profonda che rinuncia all’uso della violenza come mezzo per risolvere e gestire i conflitti, impegnandosi a renderli il più possibile non distruttivi. Così è antimperialista ed esclude la guerra come mezzo per creare un nuovo ordine tra le nazioni, come vuole Trump. La guerra è perversa perché decima vite, soprattutto, innocenti come nella Striscia di Gaza. Essa si oppone frontalmente al comandamento transculturale: “non uccidere”.

La pace armata non mira alla pace, ma è una pacificazione imposta da Trump. Essa presuppone che la realtà sia un’arena in cui si combattono costantemente conflitti e guerre. La coesistenza tra individui, comunità e popoli è possibile, ma minacciata da continue rotture. Gli stati-nazione e i paesi centrali che egemonizzano la condotta della storia sono campi di battaglia per il potere, per determinare chi è il più forte, con l’eventuale “distruzione reciproca assicurata”.

Il grande giurista e politologo Carl Schmitt (1888-1986), nel suo libro Le categorie del ‘politico’ (il Mulino, 2014), sostiene la tesi che l’identità di un popolo si definisce e si riafferma nella misura in cui è in grado di identificare un nemico e di impegnarsi in un combattimento permanente, attraverso il pregiudizio, la diffamazione e la demonizzazione dell’altro. Non a caso, fu l’ideologo di Adolf Hitler. Carl von Clausewitz (1780-1831: Sulla guerra, 1976) attribuisce centralità alla guerra nella condotta della storia e vede la politica come una guerra condotta con altri mezzi.

Furono proprio queste visioni di violenza a dare origine all’omicidio amministrativo praticato dal colonialismo europeo in Africa, in America Latina e in Asia, decimando milioni di indigeni in pochi anni, come accadde in Messico e nei Caraibi nel XVI secolo.

Con la guerra totale, inaugurata da Hitler nella Seconda Guerra Mondiale, si somma la “fabbricazione sistematica di cadaveri nei campi di sterminio nazisti” (Hannah Arendt). Queste “fabbriche di sterminio” non avevano alcuna necessità militare. Lì prevaleva l’esecuzione banale, burocratica e tecnica della morte, senza alcun scrupolo e senza qualsiasi sentimento morale. Era la pura espressione del razzismo e dell’odio. Solo nel XX secolo, sono state uccise 200 milioni di persone nelle numerose guerre che si verificarono. Ciò rappresenta un alto livello di barbarie e negazione di qualsiasi principio di civiltà.

Infine, negli ultimi anni sono emerse armi di distruzione di massa, in particolare quelle che utilizzano l’Intelligenza Artificiale Generale con i suoi miliardi di algoritmi, in grado di spazzare via la specie umana e gran parte della biosfera.

Questa modalità di guerra ha profondamente alterato la percezione che l’essere umano ha di sé stesso. Egli può autodistruggersi. La sua fine non deriva da un cataclisma naturale o dalla volontà divina, ma dalle proprie decisioni umane o dalla delega a un’intelligenza artificiale autonoma, le cui decisioni sfuggono al controllo umano. Dopo essersi appropriato dell’alfabeto genetico della vita, l’essere umano finisce per appropriarsi della propria morte.

Questo fatto assume dimensioni metafisiche che ci fanno pensare su chi sia l’essere umano e sul suo posto nell’universo. Lui è stato l’ultimo degli esseri superiori a entrare nel processo evolutivo: sarà che non lo sia stato per porre fine a questo processo, diventando il grande killer del nostro sistema solare e colpendo l’intero processo della cosmogenesi?

Sono queste constatazioni altamente perverse che affollano la mente di Trump. È stato scoperto che gli USA, sin dalla loro fondazione, sono sempre stati coinvolti in qualche tipo di guerra, avendo conosciuto solo 17 anni di pace tra le guerre.

Questo non significa che non abbiamo più fiducia nell’essere umano, capace di creare relazioni pacifiche e lasciando così spazio a una pace disarmata e non alla guerra.

Leonardo Boff è un ex professore presso l’Università Statale di Rio de Janeiro (UERJ), professore ospite in diverse università straniere e autore di oltre cento libri su vari argomenti.

(Traduzione dal portoghese di Gianni Alioti)

La rilevanza della compassione nella situazione attuale

Leonardo Boff

Attualmente stiamo assistendo a guerre in molti paesi, soprattutto nella Striscia di Gaza, dove è in corso uno dei più grandi genocidi della storia recente, nella guerra contro l’Ucraina dove migliaia di persone, specialmente giovani, sono uccise sotto l’incessante attacco della Russia e così in altri luoghi, in particolare in Africa.

Come non indignarci per il genocidio di migliaia di bambini innocenti che non hanno nulla a che fare con la guerra di Israele contro Hamas, che prende di mira indiscriminatamente l’intera popolazione della Striscia di Gaza, mirando a sterminare, specialmente bambini e giovani che in futuro potrebbero essere contro lo Stato di Israele.

L’etica per essere pienamente umana, deve incorporare la compassione. C’è tanta sofferenza nella storia, troppo sangue versato sul nostro cammino e l’infinita solitudine di milioni e milioni di persone, che si caricano da sole, nel loro cuore, la croce dell’ingiustizia, dell’incomprensione e dell’amarezza. L’ethos compassionevole vuole includere tutti questi nell’ethos planetario, cioè nella Casa Comune, nella quale c’è accoglienza e le lacrime possono essere versate senza vergogna o asciugate amorevolmente. La compassione è l’etica naturale degli operatori sanitari, soprattutto di coloro che hanno intrapreso servizi di cure palliative, ora approvate ed eseguibili attraverso il Sistema Sanitario Unificato (SUS)[1]. Il movimento nazionale Premier Cuidados Paliativos, promosso dal generoso Dr. Samir Salman, sovrintendente dell’Instituto Premier di San Paolo, coinvolge centinaia di medici, infermieri e infermiere che hanno intrapreso la pratica delle cure palliative.

Per Tommaso d’Aquino, “la compassione è la più alta di tutte le virtù perché non solo apre una persona all’altra, ma perché la apre anche ai più deboli e bisognosi di aiuto; in questo senso, costituisce una caratteristica essenziale della Divinità” (S. Theologica II.q.30 a.4 c).

Ma prima, dobbiamo impegnarci in una terapia del linguaggio, perché la compassione, nell’interpretazione comune, ha connotazioni peggiorative. Avere compassione significa provare pietà per un altro perché lo si considera indifeso, privo dell’energia interiore per rialzarsi. Presuppone l’atteggiamento di chi guarda dall’alto in basso, umiliandolo.

Nel cristianesimo primitivo, tuttavia, la com-passione era sinonimo di misericordia, quell’atteggiamento generoso che desidera condividere la propria passione con l’altro e non lasciarlo solo nel suo dolore. Questa non è fare “carità”, criticata dal poeta e cantautore argentino Atauhalpa Yupanqui: “io disprezzo la ‘carità’ per la vergogna che comporta. Sono come il leone di montagna che vive e muore in solitudine”. Diversamente gli esseri umani sono, in generale, accompagnati nel tramonto della loro vita da persone care che li circondano di cure palliative.

Nel buddismo, la compassione è considerata la virtù personale di Buddha. Pertanto, è centrale e si collega alla domanda che ha dato origine al buddismo come percorso spirituale: “qual è il modo migliore per liberarci dalla sofferenza?”. La risposta di Buddha fu: “attraverso la com-passione, attraverso l’infinita com-passione”.

Il Dalai Lama aggiorna questa risposta ancestrale in questo modo: “aiuta gli altri ogni volta che puoi e, se non puoi, non far loro mai del male e abbi sempre compassione”.

Due virtù realizzano la compassione: il distacco e la cura. Attraverso il distacco, rinunciamo a qualsiasi senso di superiorità verso gli altri e li rispettiamo così come sono. Attraverso la cura, ci avviciniamo a loro e ci facciamo carico del loro benessere, soccorrendoli nella sofferenza.

La compassione è forse il maggiore contributo etico e spirituale che l’Oriente abbia dato alla cultura mondiale. Ciò che rende penosa la sofferenza non è tanto la sofferenza in sé. Ma la solitudine nella sofferenza. Il buddismo, e anche il cristianesimo, invitano a stabilire una comunione nella sofferenza affinché nessuno sia lasciato solo e indifeso nel proprio dolore.

La grande vergogna è constatare che i paesi europei, con radici cristiane, creatori dei diritti umani e dell’idea di democrazia, abbiano sostenuto la guerra genocida di Netanyahu contro Hamas e il popolo palestinese.

Come l’amore e la cura, la compassione ha una portata illimitata di realizzazione. Non si restringe appena agli esseri umani. Ma a tutti gli esseri viventi e al cosmo. L’ideale buddista e francescano di compassione ci insegna come relazionarci adeguatamente con la comunità della vita: innanzitutto, rispettare ogni essere nella sua alterità, poi stabilire un legame affettivo con esso, prendercene cura e, soprattutto, rigenerare quegli esseri che soffrono o sono minacciati di estinzione. Solo allora potremo beneficiare dei loro doni, nella giusta misura e con responsabilità, in funzione ciò di cui abbiamo bisogno per vivere in modo sufficiente e dignitoso.

Di fronte a tante sofferenze nell’umanità e all’aggressione sistematica alla Madre Terra, la compassione è un imperativo umanistico ed etico.

Leonardo Boff, insieme a Werner Müller, ha scritto “O princípio de compaixão e de cuidado, Vozes 2000; “A justa medida: como equilibrar o planeta Terra, Vozes 2023.

(Traduzione dal portoghese di Gianni Alioti)


[1] È il sistema esistente in Brasile, analogo per molti aspetti al Servizio Sanitario Nazionale esistente in Italia.

Difendere la democrazia e fondare una democrazia eco-sociale

      Leonardo Boff

Attualmente, come poche volte nella storia, la democrazia è sotto attacco sia come valore universale, sia come forma di organizzare la società. Esiste una coalizione globale di gruppi con molto potere e denaro che la negano in nome di proposte regressive e autoritarie che rasentano la barbarie.

La democrazia, fin dalle sue origini greche, si sostiene su quattro pilastri: la partecipazione, l’uguaglianza, l’inter-azione e la spiritualità naturale.

L’idea di democrazia presuppone ed esige la partecipazione di tutti i membri della società, resi cittadini liberi e non meri spettatori o semplici beneficiari. Insieme costruiscono il bene comune.

Quanto più si realizza la partecipazione, maggiore è il livello di uguaglianza tra tutti. L’uguaglianza deriva dalla partecipazione di tutti. La disuguaglianza, come per esempio, l’esclusione dei cittadini poveri, neri, indigeni, di altri orientamenti sessuali, di altri livelli culturali e altre esclusioni, significa che la democrazia non ha ancora realizzato la sua vera natura. Per natura essa è, nelle parole del sociologo portoghese Boaventura de Souza Santos (ingiustamente accusato), una democrazia infinita: deve essere vissuta in famiglia, in tutte le relazioni individuali e sociali, nelle comunità, nelle fabbriche, nelle istituzioni educative (dalla scuola primaria all’università), in una parola, ovunque gli esseri umani si incontrino e si relazionino.

Con la partecipazione di tutti su un piano di parità, si crea la possibilità di inter-azione tra tutti, di scambio e di forme di libera comunicazione fino a modalità di comunione, insite negli esseri umani con la loro soggettività, propria identità, intelligenza e cuore. Così, la democrazia emerge come una tela di relazioni che è più della somma totale dei cittadini. L’essere umano vive al meglio la sua natura di “nodo di relazioni” in un regime in cui prospera la democrazia. Essa appare come un alto fattore di umanizzazione, cioè di gestazione di esseri umani attivi e creativi.

Infine, la democrazia rafforza la spiritualità naturale e crea il campo per la sua espressione. Intendiamo la spiritualità, così come è intesa oggi dalla new science, attraverso la neuro-scienza e la cosmo-genesi come parte della natura umana. Non va confusa né derivata dalla religiosità, sebbene quest’ultima possa rafforzarla. Essa ha lo stesso diritto al riconoscimento dell’intelligenza, della volontà e dell’affettività. È innata negli esseri umani. Come ha scritto Steven Rockefeller, professore di etica e filosofia della religione al Middlebury College di New York, nel suo libro Spiritual Democracy and Our Schools (2022): “la spiritualità è una capacità innata negli esseri umani che, quando coltivata e sviluppata, genera un modo di essere fatto di relazioni con se stessi e con il mondo, promuove la libertà personale, il benessere e il fiorire del bene collettivo” (p. 10). Si esprime attraverso l’empatia, la solidarietà, la compassione e la riverenza, valori fondamentali per la convivenza umana e, di conseguenza, per l’esperienza attiva della democrazia.

Questi quattro pilastri, nell’attuale contesto dell’antropocene (e dei suoi derivati nel necrocene e nel pirocene), in cui gli esseri umani emergono come una minacciosa meteora della vita nella sua grande diversità, al punto da mettere a repentaglio il futuro comune della Terra e dell’umanità, fanno della democrazia infinita, integrale e naturale il loro antidoto più potente. Sostengo la stessa opinione di molti analisti delle attività umane con effetti su scala planetaria (la trasgressione di 7 dei 9 limiti planetari), secondo cui senza un nuovo paradigma, diverso dal nostro che non include la spiritualità naturale, la benevolenza verso la natura e la cura della nostra Casa Comune, difficilmente sfuggiremo a una tragedia ecologico-sociale che metterà a rischio la nostra sussistenza su questo pianeta.

Da qui l’importanza di combattere frontalmente il movimento nazionale e internazionale di estrema destra che nega la democrazia e mira a distruggerla. È urgente difendere la democrazia in tutte le sue forme, anche quelle a bassa intensità (come quella brasiliana), altrimenti soccomberemo.

Vale il saggio monito di Celso Furtado nel suo libro Brasil: a construção interrompida (1993): “La sfida che si pone alle soglie del XXI secolo non è altro che cambiare il corso della civiltà, spostandone l’asse dalla logica dei mezzi, al servizio dell’accumulazione in un orizzonte temporale breve, a una logica dei fini, al servizio del benessere sociale, dell’esercizio della libertà e della cooperazione tra i popoli” (p. 70). Questa inversione di tendenza implica la fondazione di una democrazia eco-sociale che possa salvarci.

Leonardo Boff ha scritto: “Brasil: concluir a refundação ou prolongar a dependência“, Vozes 2018. (Traduzione dal portoghese di Gian

La possibile nuova era di Pax Terrae: la pacesfera

Leonardo Boff

Il secondo quarto del XXI secolo è segnato da conflitti e guerre di grande letalità. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa, riferisce in una pubblicazione del 2024, che 60 dei 193 paesi [nel mondo] sono coinvolti in conflitti e guerre, pari al 13% dell’umanità. Le speranze di gran parte della popolazione mondiale, che immaginava che con il crollo dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda avremmo inaugurato un’epoca di collaborazione, coesistenza e pace, sono state infrante.

Niente di tutto ciò è accaduto. Siamo, invece, entrati in un periodo buio e minaccioso dal punto di vista ecologico, con grandi eventi estremi, tifoni, inondazioni e bufere di neve, l’invasione del virus Covid-19 che ha decimato milioni di persone in tre anni, il crescente riscaldamento globale e, peggio di tutto, la minaccia di guerre che includono un genocidio a cielo aperto nella Striscia di Gaza, in conspectu omnium, il rischio di una belligeranza tra potenze militariste che, se intensificata, può portare a una guerra nucleare, con effetti letali e inimmaginabili sulla biosfera e sulla vita umana.

È in questo contesto che i desideri, vere e proprie grida per la pace, si levano da ogni parte. Tuttavia, vi è una generale mancanza di consapevolezza tra la popolazione e un vero e proprio negazionismo da parte di alcuni funzionari governativi e CEO di grandi aziende, riguardo ai rischi che corriamo. Ma vale la pena notare che, lentamente, una parte significativa dell’umanità si sta rendendo conto che ci troviamo su una strada pericolosa, forse senza ritorno, al limite di un abisso in cui potremmo precipitare. Se dovessimo cadere, significherebbe che gran parte della specie umana sarebbe destinata a scomparire.

La storia della Terra abbraccia 4,45 miliardi di anni e ha conosciuto almeno cinque grandi estinzioni di massa, la più grande delle quali si è verificata nel periodo Permiano-Triassico, 252 milioni di anni fa. Ciononostante, come affermò il biologo Edward Wilson, la vita sembra essere una piaga che si rifiuta di estinguersi, anche quando, in passato, circa il 70-80% della massa biotica si era estinta. Ma la Terra si è sempre ricostruita. Dopo ogni grande catastrofe biologica, sembra che la Terra stessa si sia vendicata e abbia richiesto più forza per ricostruire la sua intera biodiversità.

Normalmente, ogni anno, circa 100 specie di esseri viventi cessano di esistere. Hanno raggiunto il loro apice e scompaiono, naturalmente, dalla faccia della Terra. Altre seguiranno. Non sono pochi quelli che si chiedono: non sarà arrivato il nostro turno di aver raggiunto il nostro apice? Allora scompariremo. Uno dei presunti indicatori è la crescita esponenziale della popolazione umana che ha superato gli 8 miliardi e che ha già causato il cosiddetto “Earth Overshoot“, ovvero l’esaurimento di quei beni e servizi naturali non rinnovabili che garantiscono la continuità e la riproduzione delle nostre vite. Il fatto è che abbiamo già impattato i limiti della Terra. Sette degli 11 elementi fondamentali per la vita sono già crollati. Si sono accese tutte le luci rosse.

Vale anche la pena ricordare che abbiamo costruito gli strumenti della nostra autodistruzione, i quali, se attivati volontariamente, da un’IA autonoma o da un incidente qualsiasi, metterebbero a repentaglio l’avventura umana sul pianeta Terra.

D’altra parte, considerando la resilienza della vita in mezzo a tutte le decimazioni che si sono verificate, tutto suggerisce che gli esseri umani non siano entrati nel processo evolutivo avanzato per eliminarla, né per autodistruggersi. Quella che a noi sembra una tragedia potrebbe essere una crisi di transizione da uno stile di vita a un altro, possibilmente superiore, che richiede gravi sacrifici. Ma la vita-parassita resisterebbe ancora una volta e salverebbe gran parte della vita e della civiltà. Inaugurerebbe un’altra era geologica, quella che il grande cosmologo Brian Swimme chiama l’era ecozoica. L’ecozoico-ecologico, quello collegato al pianeta Terra come Casa Comune (oikos = eco: casa in greco), acquisterebbe centralità, come meravigliosamente proposto da Papa Francesco nell’enciclica Laudato Si’: sulla cura della Casa Comune (2015).

La tecno-scienza, l’economia, la politica e la. cultura in generale sarebbero al servizio della cura e della protezione di questo dono sacro che l’universo o Dio ci ha elargito: il pianeta vivente Terra, la Grande Madre, Pachamama e Gaia.

Potrebbe allora accadere qualcosa di inedito. Tutti gli esseri umani, sentendosi parte della natura e suoi custodi, conviverebbero in sinergia con il tutto. Il regno delle necessità sarebbe abbandonato e tutti godrebbero dei benefici del regno della libertà, grati al Creatore, vivendo felici e in pace perenne, sotto la luce e il calore benefico del sole.

Questa utopia si trova negli archetipi più ancestrali dell’inconscio collettivo di tutti i popoli. E questo archetipo potrebbe emergere dall’interno dell’attuale crisi planetaria per fare la propria storia insieme alla natura e alla specie umana. Sarebbe la pazisfera (in portoghese) o pacisfera (in latino), la sfera della pace, della pax Terrae, da sempre sognata e desiderata, fin dall’apparire delle strutture mentali e della coscienza umana, milioni di anni fa in Africa, da dove siamo emersi.

Allora, non si parlerà più di pace, perché essa si è trasformata nell’aria che respiriamo e nel cibo che ci sostiene. Un sogno che vale la pena sognare, forse per accelerarne, chissà, la sua realizzazione.

Leonardo Boff, Breve trattato sulla pace, di prossima uscita. (Traduzione dal portoghese per Gianni Alioti)