Due porte d’accesso all’etica: il maschile e il femminile

Leonardo Boff

Esistono attualmente diversi modelli etici che cercano di affrontare le questioni suscitate dalla complessità della vita contemporanea nel processo di unificazione planetaria, nonostante lo smantellamento del processo di globalizzazione economica perpetrato da Donald Trump, nell’interesse di un mondo unipolare, guidato dagli USA.

Alcuni modelli provengono dal passato, dalla tradizione aristotelico-tomista, assunti come riferimento teorico da un’istituzione importante come la Chiesa cattolica, fondata primariamente attorno al tema della giustizia, della sussidiarietà e dell’equità. Altri sono stati sviluppati nell’ambito della modernità, come l’etica kantiana del dovere. Oppure a partire dalla tradizione rivoluzionaria di stampo marxista-socialista, che enfatizza l’uguaglianza e la solidarietà. Altri sono elaborazioni recenti, come l’eco-socialismo democratico, tipico delle società complesse, in vista di pratiche sociali, tecnico-scientifiche ed ecologiche, che mettono in risalto il tema della responsabilità personale e collettiva, il rispetto del principio di precauzione, il riconoscimento dei diritti della natura e della Terra.

Tutti questi sistemi sono in qualche modo presenti nel nostro spazio culturale, corroborano la creazione di una pre-comprensione etica e costituiscono un fondo di riserva storica per ulteriori discussioni ed elaborazioni etiche.

Prendendo in considerazione tutta questa diligenza storica sul tema dell’etica, esiste ancora una corrente che segna il discorso etico da un punto all’altro e su cui siamo stati coscientizzati dal movimento femminista mondiale. Le femministe ci dicono che ci sono due porte d’accesso al discorso etico: la porta dell’uomo, attraverso la figura del padre e la porta della donna, attraverso la figura della madre.

È chiaro che, a partire dal Neolitico, viviamo ancora nell’era del padre e del patriarca. L’etica prevalente è stata formulata nel linguaggio dell’uomo che occupa lo spazio pubblico e detiene il potere. Egli si esprime attraverso principi, imperativi, norme, ordini e principalmente attraverso lo Stato di diritto con le sue istituzioni e culmina nel tema della giustizia. Usa come strumento di costruzione il logos, la ragione nelle sue varie forme.

La porta della donna è stata quasi del tutto silenziata o nemmeno è stata aperta del tutto. Si esprime attraverso l’affetto, la ricettività, le relazioni, l’estetica e la spiritualità e culmina con il tema della cura. Lo strumento di costruzione è il pathos o l’Eros, cioè la ragione sensibile o cordiale.

Effettivamente esiste un’esperienza di vita propria della donna e un’altra propria dell’uomo. Sebbene l’uomo e la donna siano reciproci, non sono riducibili l’uno all’altro, poiché presentano singolarità che emergono in tutti i campi, anche nei discorsi etici.

Oggi è tempo di avere un’esperienza etica più integrativa, che superi la peculiarità dell’etica maschile e che valorizzi i contributi che provengono dall’etica femminile. L’uomo e la donna insieme (animus/anima) permettono un’esperienza più ricca e totale dell’essere umano.

Pertanto, insieme alla voce della giustizia è importante ascoltare anche la voce della cura. Alcuni filosofi nordamericani hanno lavorato in modo approfondito su questo tema: Carol Gilligan (1982), Nel Noddings (2000), Annete C. Baier (1995) e M. Mayeroff (1971). Tra noi in Brasile spicca l’intera opera di Vera Regina Waldow (1993, 1998, 2006). Noi stessi in Saber cuidar (1994) indichiamo le dimensioni del maschile (lavoro) e del femminile (cura) come fondatrici di modi di esistere e di vivere eticamente.

Tuttavia, conviene chiarire fin da subito che le questioni della giustizia e della cura non sono di esclusiva competenza dell’uomo o della donna. L’uomo e la donna sono solo porte d’accesso. Entrambi costituiscono l’essere umano, maschile e femminile. Per questo motivo il maschile non può essere identificato con l’uomo e ridotto a lui solo. Allo stesso modo il femminile, con la donna. Entrambi sono portatori della dimensione dell’animus e della dimensione anima, in altre parole del femminile e del maschile contemporaneamente, ma ciascuno in modo diverso e singolare (Boff-Muraro 2002).

Quindi, la cura (femminile) riguarda l’uomo, così come la giustizia (maschile) riguarda la donna. Entrambi, a modo loro, realizzano la giustizia e la cura, anche se la giustizia acquisisce maggiore visibilità negli uomini, che ne sono quindi i principali promotori, e la cura acquisisce maggiore densità nelle donne, che ne sono quindi le principali portatrici (Gilligan, 1982,2).

In ragione di questa inclusione, le filosofe femministe insistono nel dire che il tema della cura e rispettivamente della giustizia non sono temi di genere, bensì questioni che riguardano la totalità dell’essere umano (Noddings 1984).

Oggi, di fronte al generale clamore ecologico, giustizia e cura, uomo e donna devono, come mai prima nella storia, darsi la mano e camminare insieme, contribuendo ciascuno a contrastare le minacce che gravano sulla vita sul pianeta Terra. Abbiamo bisogno di giustizia sociale di fronte all’immenso numero di persone povere e miserabili e di giustizia ecologica di fronte all’aggressione sistematica che il nostro modello di produzione industriale/consumistico pratica contro la natura e gli eco-sistemi.

Allo stesso tempo, dobbiamo prenderci cura dei milioni di persone che sono afflitte e relegate ai margini, in termini di relazioni rispettose, salute e inclusione sociale. È altrettanto urgente prendersi cura della Terra ferita e preservare i beni e i servizi naturali che garantiscono la nostra sopravvivenza su questo pianeta.

Spetta alla nostra generazione e a quelle future, prendere coscienza dell’importanza della cooperazione tra uomo (animus) e donna (anima), per non essere insieme gli ultimi a salvare la vita sul pianeta Terra. Giustizia e cura ci possono garantire che avremo ancora un futuro.

Leonardo Boff ha scritto Saber cuidar: ética do humano-compaixão pela Terra, Vozes 2000.

(Traduzione dal portoghese di Gianni Alioti)

La pace di Papa Leone XIV: è possibile la pace nelle condizioni attuali?

Leonardo Boff

Siamo ancora nel contesto dell’elezione del nuovo papa Leone XIV, il quale, nel suo discorso inaugurale, ha parlato per ben 6 volte della pace, un tema urgente. Tuttavia, in tutto il mondo si sta verificando un’ondata di odio, discriminazione e ci sono diversi luoghi in cui si combatte. Dopo che Donald Trump ha anteposto la forza alla diplomazia e all’uso di mezzi violenti per stabilire il nuovo ordine mondiale, comprendiamo l’importanza che l’attuale Papa attribuisce alla pace.

Approfondiamo un po’ il tema della pace. Inizio con un ricordo dello scambio di lettere tra Einstein e Freud sulla guerra e la pace il 30 luglio 1932. Einstein chiede a Freud: “Esiste un modo per liberare gli esseri umani dalla fatalità della guerra? Esiste la possibilità di orientare l’evoluzione psichica al punto da rendere gli esseri umani più capaci di resistere alla psicosi dell’odio e della distruzione?” Freud risponde: “Non c’è la speranza di poter sopprimere in modo diretto l’aggressività degli esseri umani”. Dopo alcune considerazioni che davano una qualche speranza alla pulsione di vita e quindi alla possibile pace, Freud conclude con scetticismo e rassegnazione con la celebre frase: “affamati pensiamo al mulino che macina così lentamente, che potremmo morire di fame prima di ricevere la farina“. In altre parole, la pace si colloca nell’ambito della speranza fiduciosa (esperança esperante) e deve essere costruita giorno per giorno.

Nonostante questa dura constatazione, continuiamo a ricercare la pace e non vi rinunceremo mai, anche se non si tratta di uno stato permanente, negato ai mortali. Almeno coltiviamo costantemente uno spirito o un modo di essere che ci fa preferire il dialogo allo scontro, la strategia win-win a quella win-lose, e la ricerca cordiale di punti in comune rispetto al confronto conflittuale. È l’eredità lasciataci dal defunto Papa Francesco e rinnovata dal nuovo Papa.

Osiamo, nella speranza, stabilire alcune precondizioni che renderebbero la pace, in qualche modo o in alcuni momenti, raggiungibile.

Vedo quattro precondizioni:

La prima è accettare, con la massima serietà, la polarità sapiens/demens, amore-odio, bontà-malvagità, luce-ombra, come appartenenti alla struttura della realtà universale e insiti, anche, nella condizione umana: noi siamo l’unità vivente degli opposti. Ciò non ha costituito un difetto dell’evoluzione. Ma la situazione concreta della condizione umana così come esiste oggi. Ciò vale sia per la sfera personale che per quella sociale.

L’essere umano ha origine dalla prima singolarità, da una violenza inimmaginabile, il big bang, seguito dallo scontro violentissimo tra materia e antimateria, lasciando un minimo di materia, qualcosa come lo 0,00000001% che ha dato origine all’universo attualmente conosciuto. Il rumore di questa esplosione, un’onda magnetica bassissima, la radiazione cosmica di fondo, potè essere rilevata nel 1964 da Arno Penzias e Robert Wilson. Prendendo come riferimento la galassia più distante sulla via di fuga, è stato possibile datare l’età dell’universo a 13,7 miliardi di anni.

La seconda è di rafforzare in modo tale e in tutti i modi il polo positivo e luminoso di questa contraddizione affinché possa mantenere sotto controllo, limitare e integrare il polo negativo nel positivo e realizzare così, per un momento, una pace fragile ma possibile, ma sempre minacciata di dissoluzione. Il 12 maggio, Papa Leone XIV parlando ai giornalisti è stato chiaro: “La pace comincia da ognuno di noi, dal modo in cui guardiamo gli altri, ascoltiamo gli altri e parliamo degli altri”.

La terza è quella di rifare il contratto naturale con la natura che è stato violato e riscattare la Matrice Relazionale che esiste tra tutti gli esseri e che ci rende esseri di relazione in tutte le direzioni. Ci realizziamo solamente nella misura in cui viviamo e ampliamo queste relazioni. La storia, tuttavia, ha dimostrato che “questo essere, l’umano, è altamente creativo, agitato, aggressivo e poco amante della moderazione. Per questo motivo, modificherà il volto del pianeta, ma è destinato ad avere una vita breve sulla Terra”, come ha detto Georgescu-Roegen, economista ecologista (The entropy law and the economic process, Cambridge: Harvard Univ. Press, 1971, p. 127).

Nonostante questo “fallimento storico”, dobbiamo riconoscere che è da questa struttura relazionale riscattata che può nascere la pace, come l’ha intesa la Carta della Terra in una celebre definizione: “la pace è la pienezza che risulta da relazioni corrette con se stessi, con le altre persone, con le altre culture, con le altre vite, con la Terra e con il Tutto più grande di cui siamo parte” (n. 16 b). La pace si fonda, pertanto, sulla nostra realtà relazionale, per quanto fragile e quasi sempre interrotta. Si noti che la pace non esiste di per sé. È il risultato di relazioni giuste, nella misura in cui sono possibili per i figli e le figlie degradati di Adamo ed Eva.

La quarta precondizione è la giustizia. Ciò che più rompe la struttura relazionale è l’ingiustizia. L’etica è fondamentalmente giustizia. Significa: riconoscere il diritto e la dignità di ogni essere umano e di ogni essere creato e agire in conformità a questo riconoscimento. In altre parole: la giustizia è quel minimo di amore che dobbiamo dedicare all’altro e agli altri, senza cui ci separiamo da tutti gli altri esseri e introduciamo immediatamente disuguaglianze, gerarchie, emarginazioni e sottomissioni e ci trasformiamo in una minaccia per le altre specie. Non ci sarà mai pace in una società ingiusta. Chi subisce un torto reagisce, si ribella, muove guerra a livello micro e macro.

Il rivoluzionario messicano Emilio Zapata ammoniva: “Se non c’è giustizia, non si può dare la pace al governo”. Il Brasile non avrà mai pace finché rimarrà una delle società più diseguali, cioè più ingiuste del mondo.

Questo cammino di pace è stato tentato da pochi nell’umanità e testimoniato dai suoi migliori leader spirituali attuali come Gandhi, Papa Giovanni XXIII, Dom Helder Câmara, Martin Luther King Jr, Papa Francesco e ripreso con forza dall’attuale Papa Leone XIV, senza menzionare altri nella storia, in particolare Francesco d’Assisi.

La teologia ha l’abitudine di dire che la pace è un bene escatologico, vale a dire che inizia qui in modo seminale, ma si realizza veramente solo quando la storia giunge al suo culmine. Continuiamo, quindi, a seminare questo seme di pace possibile.

Leonardo Boff ha scritto escreveu A oração de São Francisco,uma mensagem de paz para o mundo atual, Vozes 2014.

(traduzione dal portoghese di Gianni Alioti)

Leone XIV: la grande sfida, la de-occidentalizzazione e la de-patriarcalizzazione della Chiesa

Leonardo Boff

Confesso che sono rimasto sorpreso dalla nomina del Cardinale nordamericano-peruviano Prevost al supremo pontificato della Chiesa. Ciò per mia ignoranza. In seguito, quando mi sono informato meglio, guardando i video su YouTube e i suoi discorsi tra la gente, stando in mezzo a un’alluvione in una città peruviana e la sua particolare attenzione per la popolazione indigena (la maggioranza dei peruviani), ho capito che lui può davvero essere la garanzia di continuità con l’eredità di Papa Francesco. Non avrà il suo carisma, ma sarà se stesso, più riservato e timido ma molto coerente con le sue posizioni sociali, comprese le critiche al presidente Trump e al suo vice. Non a caso Papa Francesco lo ha chiamato dalla sua diocesi dei poveri in Perù e lo ha chiamato a ricoprire un ruolo importante nell’amministrazione del Vaticano. Leone XIV ha vissuto gran parte della sua vita fuori dagli Stati Uniti, per molti anni come missionario e poi come vescovo in Perù, dove certamente ha acquisito una vasta esperienza di un’altra cultura e della difficile situazione sociale povera della maggior parte della popolazione. Confessò esplicitamente di essersi identificato con quelle persone al punto di naturalizzarsi peruviano.

Il suo primo discorso al pubblico è stato contro le mie aspettative iniziali. E’ stato un discorso pio e rivolto all’interno della Chiesa. Non è stata citata la parola “poveri”, tanto meno liberazione, minacce alla vita e il grido ecologico. Il tema forte è stato la pace, in particolare “disarmata e disarmante”, una critica delicata a quanto sta accadendo oggi in modo drammatico, come la guerra in Ucraina e il genocidio, a cielo aperto, di migliaia di bambini e civili innocenti nella Striscia di Gaza. E’ sembrato che gli atri temi non fossero nella coscienza del nuovo Papa. Ma credo che torneranno presto anche quelli, perché tali tragedie erano così forti nei discorsi di Papa Francesco, suo grande amico, che devono ancora risuonare nelle orecchie del nuovo Papa.

Papa Francesco, in quanto gesuita, aveva un raro senso della politica e dell’esercizio del potere, attraverso il famoso “discernimento dello spirito”, una categoria centrale della spiritualità di Sant’Ignazio. La mia supposizione è che egli ha visto nel Cardinale Prevost un suo possibile successore. Non apparteneva alla vecchia e già decadente cristianità europea, proveniva dal Grande Sud, con un’esperienza pastorale e teologica maturata nella periferia della Chiesa, nel suo caso il Perù, dove con Gustavo Gutiérrez è nata e si è sviluppata la teologia della liberazione.

Sicuramente, con il suo modo di fare gentile e la sua predisposizione all’ascolto e al dialogo, porterà avanti le sfide assunte e le innovazioni affrontate da Papa Francesco, che non è il caso qui di elencarle.

Ma, dal mio punto di vista, ci saranno altre sfide, mai prese sul serio dagli interventi dei papi precedenti: come de-occidentalizzare e de-patriarcalizzare la Chiesa cattolica di fronte alla nuova fase dell’umanità. Essa è caratterizzata dalla mondializzazione dell’umanità (non solo in senso economico, ora turbato da Trump) che, anzi, si sta realizzando a ritmi sempre più rapidi in termini politici, sociali, tecnologici, filosofici e spirituali. In questo processo accelerato, la Chiesa Cattolica nella sua istituzionalizzazione e nella forma come si è strutturata gerarchicamente, appare come una creazione dell’Occidente. Questo è innegabile. Dietro a tutto, c’è il diritto romano classico, il potere degli imperatori con i suoi simboli, riti e modalità di esercizio del potere accentrati in un’autorità massima, il Papa, «con potestà ordinaria, massima, piena, immediata e universale» (canone 331), attributi che, in verità, spetterebbero solo a Dio. A ciò si aggiunge la sua infallibilità in materia di fede e morale. Non si potrebbe andare oltre. Papa Francesco si è consapevolmente allontanato da questo paradigma e ha iniziato a inaugurare un altro modello di Chiesa semplice e povera in uscita per il mondo.

Questo non ha nulla a che vedere con il Gesù storico, povero, predicatore di un sogno assoluto, il Regno di Dio e critico severo di ogni potere. Ma è proprio quello che è successo: con l’erosione dell’Impero romano, i cristiani, diventati Chiesa con un alto senso morale, si sono fatti carico della riorganizzazione dell’Impero romano che ha attraversato secoli. Ma questa è una creazione della cultura occidentale. Il messaggio originario di Gesù, il suo Vangelo, non si esaurisce né si identifica con questo tipo di incarnazione, perché il messaggio di Gesù è quello di una totale apertura a Dio come Abba (Padre caro), di misericordia illimitata, di amore incondizionato persino per i nemici, di compassione per coloro che sono caduti lungo le strade della vita e di vita come servizio agli altri. L’attuale papa Leone XIV non sarà immune a questa sfida. Vogliamo vedere e sostenere il suo coraggio e la sua forza nell’affrontare i tradizionalisti e nel compiere passi in quella direzione.

Una grande, immensa sfida per qualsiasi Papa è relativizzare questo modo di organizzare il cristianesimo affinché possa acquisire nuovi volti nelle diverse culture umane. Papa Francesco ha compiuto grandi passi in questa direzione. L’attuale nuovo Papa ha accennato a questo dialogo nel suo discorso inaugurale. Finché non ci muoveremo con fermezza verso questa de-occidentalizzazione, per molti paesi il cristianesimo sarà sempre una cosa dell’Occidente. E’ stato complice della colonizzazione dell’Africa, delle Americhe e dell’Asia e ancora oggi è visto così dalle intelligenze dei paesi che furono colonizzati.

Un’altra sfida non meno importante è la de-patriarcalizzazione della Chiesa. Ne abbiamo già parlato sopra. Nella guida della Chiesa ci sono solo uomini, celibi e ordinati con il sacramento dell’Ordine (da sacerdote a Papa). Il fattore patriarcale è visibile nella negazione alle donne del sacramento dell’Ordine. Loro costituiscono, di gran lunga, la maggioranza dei fedeli e sono le madri e le sorelle dell’altra metà, degli uomini della Chiesa e dell’umanità. Questa esclusione maschilista fa male al corpo ecclesiastico e mette in discussione l’universalità della Chiesa. Fintanto che non si apre alla possibilità per le donne, come è accaduto in quasi tutte le chiese, di accedere al sacerdozio, si dimostra il suo radicato patriarcato, segno di una cultura occidentale sempre più un accidente nella storia universale.

Oltre a ciò, l’obbligo di mantenere il celibato (convertito in legge) rende ancora più radicale il carattere patriarcale, favorendo l’anti-femminismo che si nota in alcuni strati della gerarchia ecclesiastica. Poiché si tratta solo di una legge umana e storica e non divina, nulla impedisce che venga abolita e che venga consentito il celibato facoltativo.

Queste e molte altre sfide dovranno essere affrontate dal nuovo Papa, mentre nella coscienza dei fedeli cresce sempre più il senso evangelico della partecipazione (la sinodalità) e dell’uguaglianza in dignità e diritti di tutti gli esseri umani, uomini e donne. Perché dovrebbe essere diverso nella Chiesa cattolica?

Queste riflessioni vogliono essere una sfida permanente da essere affrontata da chi è stato scelto per il servizio più alto per animare la fede e orientare i cammini della comunità cristiana, come la figura del Papa. Verrà il tempo in cui la forza di questi cambiamenti diventerà così esigente che essi si realizzeranno. Allora sarà una nuova primavera della Chiesa, che diventerà tanto più universale quanto più si farà carico di questioni universali e offrirà il suo contributo per risposte umanizzanti.

Leonardo Boff è un teologo e ha scritto: Eclesiogênese: a reinvenção da Igreja, Record 2008. (Traduzione dal

Papa Francesco non è un nome, ma un progetto della Chiesa e de mondo

Papa Francesco non è un nome, ma un progetto della Chiesa e de mondo

Leonardo Boff

Ogni punto di vista è la visione da un punto, ho affermato una volta. Il mio punto di vista su Papa Francesco è quello di un latinoamericano. Lo stesso Papa Francesco si è presentato come «colui che viene dalla fine del mondo», cioè dall’Argentina, dall’estremo Sud del mondo. Questo fatto non è privo di rilevanza, poiché ci offre una lettura diversa da quella di altri, da altri punti di vista.

La scelta del nome Francisco, senza precedenti, non è casuale. Francesco d’Assisi rappresenta un altro progetto di Chiesa la cui centralità risiedeva nel Gesù storico, povero, amico dei disprezzati e umiliati, come i lebbrosi con i quali andò a vivere. Questa è la prospettiva adottata da Bergoglio quando è stato eletto Papa. Vuole una Chiesa povera per i poveri. Di conseguenza, si spoglia dei paramenti onorari, tradizione degli imperatori romani, ben rappresentata dalla mozzetta, quella mantellina bianca ornata di gioielli, simbolo del potere assoluto degli imperatori e incorporata nei paramenti papali. Lui la rifiuta e la dà alla segretaria come souvenir. Indossa un semplice mantello bianco con la croce di ferro che sempre usava. Visse nella più grande semplicità (il Papa non indossa Prada) e, senza cerimonie, infranse i riti per poter essere vicino ai fedeli. Ciò sicuramente ha scandalizzato molti esponenti della vecchia cristianità europea, abituati alla pompa e alla gloria dei paramenti papali e dei prelati della Chiesa in generale. Vale la pena ricordare che tali tradizioni risalgono agli imperatori romani, ma non hanno nulla a che fare con i poveri artigiani e contadini mediterranei di Nazareth.

Sorprendentemente, egli si presenta in primo luogo come vescovo locale di Roma. Poi come Papa per animare la Chiesa universale e, come lui stesso ha sottolineato, non con il diritto canonico, ma con l’amore.

Ha scelto il nome Francesco perché san Francesco d’Assisi è «l’esempio per eccellenza della cura e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità» (Laudato Sì, n. 10) e che chiamava tutti gli esseri con il dolce nome di fratello e sorella.

Non ha voluto vivere in un palazzo pontificio, ma in una foresteria, Santa Marta. Mangiava in fila come tutti gli altri e, con umorismo, commentava: così è più difficile che mi avvelenino.

La centralità della sua missione era posta sulla preferenza e la cura dei poveri, in particolare dei migranti. Disse onestamente: “Voi europei siete stati lì per primi, avete occupato le loro terre e ricchezze e siete stati ben accolti. Ora loro sono qui e non siete disposti a riceverli”. Con tristezza constata la globalizzazione dell’indifferenza.

Per la prima volta nella storia del papato, Papa Francesco ha ricevuto varie volte  i movimenti sociali mondiali. Vedeva in loro la speranza di un futuro per la Terra, perché la trattano con cura, coltivano l’agro-ecologia e vivono una democrazia popolare e partecipativa. Spesso ripeteva loro i diritti che gli sono negati, le famose tre T: Terra, Teto e Trabalho. Devono iniziare da dove si trovano: dalla regione, perché è lì che si può costruire una comunità sostenibile. Con ciò ha legittimato un intero movimento mondiale, il bio-regionalismo, come via per superare lo sfruttamento e l’accumulazione da parte di pochi e garantire una maggiore partecipazione e giustizia sociale per molti.

Fu in questo contesto che ha scritto due straordinarie encicliche: “Laudato Sì: sulla cura della casa comune”, su un’ecologia integrale che coinvolge l’ambiente, la politica, l’economia, la cultura, la vita quotidiana e la spiritualità ecologica. Nell’altra, la “Fratelli tutti”, di fronte al degrado diffuso degli ecosistemi, lanciò il severo monito: «Siamo sulla stessa barca: o ci salviamo tutti o nessuno si salverà» (n. 34). Con questi testi, il Papa si pone in prima linea nel dibattito ecologico mondiale che va oltre la semplice ecologia verde e altre forme di produzione, senza mai mettere in discussione il sistema capitalista che, per sua logica, crea accumulazione da un lato al costo dello sfruttamento della grande maggioranza dall’altro.

Papa Francesco proviene dalla teologia della liberazione della corrente argentina, che sottolinea l’oppressione del popolo e l’esclusione della cultura popolare. Fu discepolo del teologo della liberazione Juan Carlos Scannone, che arrivò a citare in una nota a piè di pagina della Laudato Sì. Già come studente e ispirato da questa teologia, fece una promessa a se stesso: ogni settimana visitare, da solo, le favelas (“vilas miseria“). Entrava nelle case, si informava sui problemi dei poveri e infondeva speranza in tutti. Per anni portò avanti una polemica con il governo che, come politiche dello Stato, faceva assistenzialismo e paternalismo.

Reclamava dicendo: in questo modo i poveri non saranno mai liberati dalla dipendenza. Ciò di cui abbiamo bisogno è la giustizia sociale, radice della vera liberazione dei poveri. In solidarietà con i poveri, viveva in un piccolo appartamento, cucinava il proprio cibo, andava a prendere il suo giornale. Si rifiutava di vivere nel palazzo e di usare l’auto speciale.

Questa ispirazione liberatrice illuminò il modello di Chiesa che egli si proponeva di costruire. Non una Chiesa chiusa come un castello, immaginandola circondata da nemici da tutti i lati, proveniente dalla modernità con le sue conquiste e le sue libertà. A questa Chiesa chiusa egli contrappose una Chiesa in cammino verso i bisogni esistenziali, una Chiesa come ospedale da campo che accoglie tutti i feriti, senza chiedere loro quale sia il loro orientamento sessuale, la loro religione o ideologia: basta che siano esseri umani bisognosi.

Papa Francesco non si presenta come un dottore della fede, ma come un pastore che accompagna i fedeli. Chiede ai pastori di avere l’odore delle pecore, tale è la loro vicinanza e il loro impegno verso i fedeli, esercitando una pastorale di tenerezza e di amore.

Forse nessun papa nella storia della Chiesa ha dimostrato tanto coraggio quanto lui nel criticare il sistema attuale che uccide e produce due feroci ingiustizie: l’ingiustizia ecologica, che devasta gli ecosistemi, e l’ingiustizia sociale, che sfrutta l’umanità fino a versarne il sangue. Mai nella storia si è assistito a una tale accumulazione di ricchezza in poche mani. Otto persone possiedono individualmente più ricchezza di 4,7 miliardi di persone. È un crimine che grida al cielo, offende il Creatore e sacrifica i suoi figli e le sue figlie.

Come un pastore più che come medico, il suo messaggio è fondato soprattutto sulla figura storica di Gesù, amico dei poveri, dei malati, degli emarginati e degli oppressi. Fu assassinato sulla croce attraverso un duplice processo, uno religioso (offese alla religione del tempo per la sua pretesa di sentirsi Figlio di Dio) e l’altro politico, da parte delle forze di occupazione romane.

Non dava molta importanza alle dottrine, ai dogmi e ai riti che aveva sempre rispettato, poiché riconosceva che con tali cose non si raggiunge il cuore umano. Per questo si ha bisogno di amore, di tenerezza e misericordia. Una volta pronunciò una delle frasi più importanti del suo magistero: “Cristo è venuto per insegnarci a vivere: l’amore incondizionato, la solidarietà, la compassione e il perdono, valori che costituiscono il progetto del Padre che è il nucleo dell’annuncio di Gesù: il Regno di Dio. Lui preferiva un ateo sensibile alla giustizia sociale rispetto a un credente che frequenta la chiesa ma non ha alcun riguardo per il prossimo che soffre.

Un tema ricorrente nelle sue prediche è quello della misericordia. Per Papa Francesco la misericordia è essenziale. La condanna è solo per questo mondo. Dio non può perdere nessun figlio o figlia che ha creato nell’amore. La misericordia vince la giustizia e nessuno può porre limiti alla misericordia divina. Metteva in guardia i predicatori da ciò che era stato fatto per secoli: predicare la paura e instillare il terrore dell’inferno. Tutti, indipendentemente da quanto siano stati malvagi, sono sotto l’arcobaleno della grazia e della misericordia divina.

Logicamente, non tutto vale la pena in questo mondo. Ma coloro che hanno vissuto sacrificando altre vite, preoccupandosi poco di Dio o addirittura negandolo, attraverseranno la clinica di guarigione della grazia, dove riconosceranno le loro azioni malvagie e apprenderanno cosa sono l’amore, il perdono e la misericordia. Solo allora la clinica di Dio, che non è l’anticamera dell’inferno, ma l’anticamera del paradiso, si aprirà affinché anche loro possano partecipare alle promesse divine.

Con il suo appello all’azione a favore dei poveri, con la sua coraggiosa critica all’attuale sistema che produce morte e minaccia le basi ecologiche che sostengono la vita, con il suo amore appassionato e la sua cura per la natura e la Casa Comune, con i suoi instancabili sforzi per mediare le guerre in favore della pace, è emerso come un grande profeta che ha annunciato e denunciato, ma sempre suscitando la speranza che possiamo costruire un mondo diverso e migliore. Grazie a ciò, egli si dimostrò un leader religioso e politico rispettato e ammirato da tutti.

Indimenticabile è l’immagine di un papa che cammina da solo, sotto una leggera pioggia, in piazza San Pietro, verso la cappella della preghiera affinché Dio risparmiasse l’umanità dal coronavirus e avesse pietà dei più vulnerabili.

Papa Francesco ha onorato l’umanità e resterà nella memoria come una persona santa, gentile, premurosa ed estremamente umana. È grazie a figure come queste che Dio ha ancora pietà della nostra malvagità e follia e ci ha tenuti in vita su questo piccolo e meraviglioso pianeta.

Leonardo Boff ha scritto Francesco d’Assisi, Francesco di Roma. Una nuova primavera nella chiesa, Editrice Missionaria Italiana, 2014; La tenerezza di Dio-Abbà e di Gesù, Castelvecchi, 2024

(Traduzione dal portoghese di Gianni Alioti)