È possibile la felicità in un mondo inguaiato come il nostro?

Leonardo Boff

La felicità è uno dei beni più desiderati dall’essere umano. Ma non può essere acquistata né sul mercato, né in borsa, né nelle banche. Nonostante ciò, attorno ad essa si è creata un’intera industria che va sotto il nome di auto-miglioramento. Utilizzando frammenti di scienza e psicologia, si cerca di offrire una formula infallibile per raggiungere “la vita che hai sempre sognato”.

Di fronte, però, al corso inconfutabile delle cose, essa si mostra insostenibile e ingannevole.

Curiosamente, la maggior parte di coloro che cercano la felicità intuiscono che non possono trovarla nella scienza pura o in nessun centro tecnologico. Va da un “pai ou mãe de santo” [sacerdoti delle religioni di matrice africana Umbanda o Candomblé], o in un centro spiritista o frequenta un gruppo carismatico, consulta un guru o legge l’oroscopo o studia l’I-Ching della felicità. È cosciente che la produzione della felicità non sta nella ragione analitica e calcolatrice, ma nella ragione sensibile e nell’intelligenza emotiva e cordiale. Questo perché la felicità deve venire da dentro, dal cuore e dalla sensibilità.

Per dirla senza mezzi termini, senza altre mediazioni, non si può andare dritti alla felicità. Chi fa questo, è quasi sempre infelice. Un poeta popolare lo diceva bene: “Il sogno e la realtà sono ben diversi dal mischiarli / Chi sogna la felicità è quasi sempre infelice”. La felicità deriva da qualcosa di precedente: dall’essenza dell’essere umano e da un senso di giusta misura in ogni cosa.

L’essenza dell’essere umano risiede nella capacità di relazioni. È un fusto sotterraneo di relazioni, le cui radici puntano in tutte le direzioni. Si realizza solo quando l’essere umano attiva continuamente la sua pan-relazionalità, con l’universo, con la natura, con la società, con le persone, con il suo proprio cuore e con Dio.

Questa relazione con ciò che è diverso gli permette lo scambio, l’arricchimento e la trasformazione. Da questo gioco di relazioni, nasce la felicità o l’infelicità in proporzione alla qualità di queste relazioni. Al di fuori della relazione non c’è felicità possibile.

Ma questo non basta. È importante vivere un profondo senso di giusta misura nel quadro della concreta condizione umana. Questa è fatta di realizzazioni e frustrazioni, di violenza e di affetti, di monotonia quotidiana e di emergenze sorprendenti, di salute, di malattia e, infine, di morte.

Essere felici è trovare la giusta misura in relazione a queste polarizzazioni (cfr. Il mio libro A Busca da justa medida, Vozes (2023). Da qui ne deriva un equilibrio creativo: senza essere troppo pessimista perché si vedono le ombre, né troppo ottimista perché si percepiscono le luci. Essere concretamente realista, assumendo creativamente l’incompletezza della vita umana, cercando, giorno dopo giorno, di scrivere diritto attraverso linee storte. Alcuni enfatizzano maggiormente il pessimismo, come Ariano Susassuna e si identificano come pessimisti fiduciosi. Antonio Gramsci,  grande teorico del marxismo umanista, diceva: “sono pessimista nell’intelligenza, ma ottimista nella volontà”.

La felicità dipende da questa ars combinatoria soprattutto quando ci confrontiamo con i limiti ineludibili, come, ad esempio, le pesanti frustrazioni e la morte inevitabile. La furia sacra di fronte al genocidio perpetrato da Israele nella Striscia di Gaza. L’ondata di odio che sommerge il mondo, il femminicidio quotidiano e la morte ricorrente di persone LGBTQ+.

Ma non basta rivoltarsi contro queste tragedie per ribellarsi o semplicemente rassegnarsi perché non possiamo cambiarle.

Ma tutto cambia se siamo creativi: trarre dai limiti fonti di energia e di crescita. È quello che chiamiamo resilienza: l’arte di trarre vantaggi dalle difficoltà e dai fallimenti. Questa situazione è un modo per cercare un’umanizzazione più profonda.

Qui trova il suo posto un significato spirituale della vita, che è più della religiosità, senza la quale la felicità non può essere sostenuta a medio e lungo termine. Allora appare che la morte non è nemica della vita, ma un salto verso un altro ordine più alto. Se ci sentiamo nel palmo delle mani di Dio, ci calmiamo. Morire è tuffarsi nella Sorgente. In questo modo, come dice Pedro Demo, un pensatore brasiliano che ha scritto il libro la “Dialética da Felicidade” (edito, in tre volumi, da Vozes): “Se non possiamo portare il paradiso in terra, almeno possiamo approssimare la terra al paradiso”. Questa è la felicità semplice e possibile che possiamo faticosamente conquistare come figli e figlie di Adamo ed Eva.

In tutti i caos, il cammino più sicuro è che saremo più felici quanto più renderemo felici gli altri e coltiveremo indignazione e compassione contro le malvagità che si verificano nel nostro paese e nel mondo.

Leonardo Boff, ecoteologo, filosofo e scrittore.

(traduzione dal portoghese di Gianni Alioti)

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